David Bosshart: l’Europa punta sulla talent economy

La crisi dell'economia e quella della natura (sì anche lei è in crisi grazie all'uomo) ci suggeriscono che forse abbiamo bisogno di un nuovo inizio. Una rinascita, un re-inventarsi. Ma come?

La crisi ha mille sfumature e il suo significato (e la percezione) non sono univoci. Dipende anche da dove uno vive. Per gli inglesi è soprattutto una crisi finanziaria, per i tedeschi una crisi industriale, per i francesi una crisi sociale, mentre per voi italiani ... provi a dirlo lei visto che ci abita.

Beh, direi, soprattutto, una crisi morale che trascina tutto verso bassezze inquietanti. Abbiamo toccato il fondo e ora scaviamo.

Ecco uno dei punti cruciali. In Europa abbiamo un disperato bisogno di valori e ispirazioni. Prendiamo la religione: tolto l'Islam non muove più niente e nessuno, neanche nell'Europa Orientale.

Insomma come ebbe a dire Woody Allen “Dio è morto, Marx è morto e anch'io non mi sento tanto bene”...

E come potremmo sentirci bene? Non crediamo più in niente. Ripeto: l'Europa ha bisogno di nuovi valori. Ma ancora più importante dei valori è la fede nei valori. Guardate che “Yes I can” di Obama è un messaggio religioso, o mistico, se preferite. Ci dice chiaramente: sì possiamo farcela, possiamo cambiare, collettivamente.

Già collettivamente, non crede sia giunto il tempo di abbandonare l'economy per approdare a quello che mi piace definire la weconomy, l'eco-noi-mia, come suonerebbe in italiano?

Sì ma più che di economy parlerei di egonomy, l'economia egocentrica dove prevale l'esclusivo interesse dell'io. La sua era è tramontata. Ora abbiamo bisogno di social entrepreneurship e visioni condivise.

Come il Web 2.0 con i suoi social network, l'open innovation e gli esperimenti di democrazia partecipativa e cultura liberata?

Sì e no. Il web è un immenso laboratorio di innovazione sociale ma è anche una enorme pattumiera. Ci può portare in paradiso ma anche all'inferno. La rete è uno straordinario tool in grado di agevolare e migliorare la convivenza economica e sociale. Ma le aziende e le persone devono ancora imparare a trarre il meglio da questo strumento.

Cambiamo discorso e parliamo di consumi. Recentemente il GDI ha affermato nel suo Trendradar “Eat less, consume less, waste less”. Come direbbe Heineken “sounds good”, ma forse non per i retailer che vogliono idealmente vendere sempre di più e moltiplicare gli store all'infinito. Come la vede?

In realtà, nessuno sente più il bisogno di nuovi retailer o sterminate offerte di prodotti tutti uguali. È necessario un cambio di paradigma e approccio: più servizi, più soluzioni, più coaching per i clienti. Insegnare a cucinare nei supermercati, insegnare a sopravvivere nella crisi ...

E tornare ad offrire servizi, per esempio, di riparazione scarpe?

Certo anche. Ma soprattutto bisogna tornare alla qualità. Quella vera e caricarla di nuovi significati.

Sì, ma intanto siamo ancora tutti fissati con la crescita.
Eppure, l'uomo quando è maturo non cresce più e non per questo vive peggio.
La nostra economia è ancora immatura?
Non è ora di passare dal materialismo al “maturalismo”?

Crescita. Questa parola paralizza la nostra creatività. Devono crescere i talenti non i volumi dei negozi e shopping center. Il tema ora per i retailer è: consolidare, convertire, differenziare e innovare la presenza a livello regionale e locale.

Quindi la fine della corsa al gigantismo commerciale e degli enormi shopping mall, grandiosi forse solo nei calcoli strutturali?

Quella epoca è finita da tempo. L'Europa deve puntare sulla talent economy.

In che senso?

È evidente a tutti che non possiamo competere con Cina e India per il mass market. È una battaglia persa. La Mini e la Fiat 500 sono buoni esempi di come innovare con talento. Dominare le nicchie, differenziarsi sul serio e concentrasi sul premium (in tutte le sfumature).

Mercati emergenti per l'Europa?

Per esempio il ritorno alla terra. In futuro un buon 10-20% troverà occupazione nell'agricoltura premium di alta qualità.

Chiudiamo con il colore della speranza: il verde. Quasi tutti si pavoneggiano come eco-fans e paladini della sostenibilità. Ma quando il gioco si fa duro (passare dalle parole ai fatti) quasi tutti si danno alla macchia. La cosiddetta greenomic revolution o green economy è veramente il mega trend o meglio rivoluzione del secolo oppure diventeremo verdi solo a fine partita, quando il tempo sarà scaduto?

Entrambe le ipotesi sono plausibili. Il punto, però, è un altro. La consapevolezza del problema è oramai ampiamente diffusa. Ma solo quella. Detto diversamente: tutti condividono il pensiero sostenibile ma pochi realizzano l'azione sostenibile. Abbiamo bisogno di pionieri e precursori. E abbiamo bisogno di leadership convincenti. Il caso di Wal-Mart va in questa direzione. Sta dimostrando alla business community che una ponderata green policy fa quadrare anche i conti. Ovvero: è vantaggiosa sia ecologicamente sia economicamente. E come sappiamo, il mondo degli affari ha bisogno di queste “guide”.

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