Intervista a Francesco Morace sui paradigmi per orientarsi sul futuro

Non smentisce la sua fama di
attento ricercatore di tendenze
Francesco Morace, riversando
due decenni di attività nel suo recente
libro I paradigmi del futuro (Nomos
Edizioni, pp. 232, e 19,00). Testo nel quale
vengono individuate le direzioni percorribili
in tempi a dir poco incerti. Credere nel domani
è l'invito rivolto al lettore e nella conversazione
che segue, ci spiega perché.

Paradigmi del futuro, Lei ne individua
quattro, però l'idea stessa di futuro oggi
è in discussione. Prendiamo, ad esempio,
il recente Retromania di Simon Reynolds.
Al di là del focus sulla musica, si
punta il dito in generale su un passato
che impregna un eterno presente. Dunque,
di quale futuro possiamo parlare?

Di un futuro che si orienta nuovamente
verso il principio-speranza di cui scriveva
Ernst Bloch: un futuro che per essere costruito
dovrà compiere un salto paradigmatico
nell'elaborazione di nuovi valori e
comportamenti. Più in particolare, in una
ricerca realizzata per Accenture, “Accento
sull'Italia”, i paradigmi che abbiamo individuato
sono quattro: la sostenibilità e
l'economia civile (Crucial & Sustainable),
la fiducia e la condivisione (Trust & Sharing),
la qualità tempestiva che riesce a
combinare velocità e profondità (Quick
& Deep) e l'unicità locale che può, se lo
vuole, diventare universale (Unique & Universal).
Queste direzioni sono poi state approfondite
nelle conclusioni de I paradigmi
del futuro. In molte tendenze sviluppate
nel libro -che esplora diversi settori, dalla
casa all'abbigliamento, dalla bellezza
all'alimentazione- emerge tra gli altri il fenomeno
della memoria vitale. In momenti
di cambiamento così radicale è normale
che una parte della società tenti disperatamente
di guardare al passato, per trovare
conforto in un mondo già conosciuto o
anche per cercare fonti di ispirazione e di
stimolo senza traumi. Al di là della nostalgia
è importante, quindi, che la memoria
venga utilizzata come strumento di rigenerazione
vitale. Ecco spiegato il fenomeno
Retromania che peraltro non è nuovo né
originale e ricompare ciclicamente nei momenti
di crisi. In fondo, anche il successo
parallelo di due film come Hugo Cabret e
The Artist che si sono contesi fino all'ultimo
le statuette dell'Oscar ispirandosi agli
anni Venti e Trenta segnalano questa attitudine.
Ciò che comunque è chiaro ormai agli occhi di tutti è che non stiamo più
vivendo un'epoca di cambiamenti, ma che
assistiamo piuttosto a un vero e proprio
cambiamento d'epoca.

Citando il tandem Crucial & Sustainable,
Lei pone l'accento sul tema della
responsabilità: quella individuale, come
quella collettiva, in tempi che molti sociologi
definiscono come segnati dalla
deresponsabilizzazione e dall'infantilizzazione.
Sono risolvibili in una sintesi?

Anche in questo caso è difficile distinguere
i due fenomeni per chi non se ne occupi
quotidianamente. È proprio il fenomeno
apparentemente inarrestabile dell'infantilizzazione
e della conseguente deresponsabilizzazione
del mondo adulto, in
termini genitoriali, professionali e perfino
istituzionali, che ha innescato il fenomeno
uguale e contrario che troverà nei prossimi
anni una realizzazione inaspettata per
molti, ma non per noi, che siamo stati tra
i pochissimi a prevederlo. Il cambiamento
repentino di stile, di immaginario, di linguaggio
e di visione del Governo Monti
ha trovato in Italia una società pronta a
riconoscere la necessità paradigmatica
di questo cambiamento, spesso anche
contro i propri interessi. Con il ministro
Fornero che viene ormai definita “la maestrina”.
Eppure è proprio di maestri che oggi
l'Italia ha bisogno. Definire e difendere
ciò che è cruciale, ciò che vale per tutti al
di là degli interessi di una parte, come ad
esempio la qualità dell'ambiente in cui vive
ciascuno di noi, non è più questione per
poche avanguardie militanti, ma un tema
vitale per la maggioranza delle persone al
di là del loro credo e della loro ideologia.
La sostenibilità non riguarda più la difesa
delle balene -sacrosanta, per carità- ma
la ricerca di un equilibrio tra economia e
psicologia, tra ricchezza e felicità.

Lei scrive di “tempestività”, della capacità
cioè di essere “nel posto giusto al
momento giusto”, e la pone in rapporto
con la ricerca della felicità. Vengono in
mente le parole di Anthony Giddens a
proposito dei “momenti fatali”, quegli
snodi della vita di ognuno di noi che, a
posteriori, percepiamo come di svolta. È
compatibile questo concetto con la Sua
idea di tempestività?

È certamente compatibile: è molto importante
capire che il mondo non si muove
tanto nella direzione del tempo cronologico
segnato dal kronos, di un tempo lineare
che può essere programmato a tavolino e
gestito con il metronomo, ma che piuttosto
il potere verrà preso dal kairos, cioè dal
tempo dell'opportunità, dalla capacità di
tener testa alla tempesta che orienterà il
destino del mondo. Quindi emergeranno
nuovamente le capacità di manager, imprenditori,
politici, che saranno in grado
-come i capitani di una nave- di annusare
il vento, di prendere decisioni tempestive,
di muoversi nel mare tempestoso con la
determinazione di chi sa agire nel modo
giusto al momento giusto. Per realizzare
questa strategia -molto diversa dalla pura
e semplice accelerazione perché può prevedere
un tempo di preparazione anche
molto lungo- è necessario attrezzarsi con
strumenti nuovi, più adatti all'esplorazione,
alla scoperta, alla sperimentazione.

La “frontiera fra individuale e sociale” si
gioca con nuove modalità grazie anche
alla permanenza sempre maggiore dei
consumatori sul Web. Come influiscono
le nuove abitudini comunicative sugli
spostamenti di questa frontiera?

I social network -da Facebook a Twitter
fino al più recente Pinterest- stanno letteramente
plasmando la nuova psicologia
collettiva e l'immaginario sociale. In particolare,
si afferma per la prima volta la
convergenza assoluta tra il massimo della
soggettività (ad esempio con il racconto
in Facebook delle proprie esperienze più
un lavoro
sui paradigmi va
in profondità,
richiede tempo
e un pensiero
lungo
Da I paradigmi del futuro
intime) e il massimo della socialità e della
condivisione, sapendo che le proprie storie
possono essere seguite da migliaia di
persone. Ciò significa rinegoziare la propria
identità individuale e il senso del sé, ripartendo
dallo sguardo di tanti altri… Più cresce
il numero di “amici”, più emerge la necessità
della fiducia: è questa interessante
combinazione che dà luogo al paradigma
del Trust & Sharing in cui la condivisione
diventa possibile solo grazie al rafforzamento
dei legami e al rispetto della lealtà
personale. Anche in questo caso la liquidità
sociale di cui parla Bauman produce
una controspinta nel ritorno alle relazioni di
affinità, al neo-romanticismo dei giovani, al
consolidamento delle partnership.

Anche il tandem, Unique & Universal,
sembra rimandare alla tensione fra individuale
e sociale. Ne è un'implicazione?

Direi che riguarda più la dinamica in atto
tra locale e globale ribaltando la classica
convinzione: think globally, act locally.
In realtà, il pensiero nasce sempre dal
locale, da un'esperienza di vita unica e
singolare: se ha gambe per correre, allora
può diventare universale e attirare l'interesse
e l'entusiasmo di tanti altri. Con il
paradigma Unique & Universal si vuole
incoraggiare tutte le esperienze “locali”
del mondo ad acquisire un nuovo respiro,
a confrontarsi in modo più ampio, a
costruire il proprio futuro partendo da un
carattere unico e irripetibile, senza confinare
-come troppo spesso avviene- le
proprie potenzialità rivolgendosi alla cerchia
ristretta del proprio territorio. È questo
il paradigma su cui la piccola e media
impresa italiana può investire le proprie
energie, partendo dalla propria inimitabile
unicità, da un saper fare incomparabile,
da una passione che, pur rispettando la
tradizione, guarda al futuro innovando e
sperimentando. Purtroppo il genius loci
spesso in Italia si trasforma in provincialismo,
in visione ristretta senza ambizione
e coraggio, un bruco che mai diventa
farfalla, una unicità che mai diventa universale.
Mentre l'unicità che ci interessa
è quella tanto caratterizzata da potersi
trasformare in esperienza universale.

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