Intervista a Giovanni Cobolli Gigli sull’alleanza con l’Idm per le liberalizzazioni

Giovanni Cobolli Gigli, tornato, a sorpresa, alla presidenza di Federdistribuzione, ha le idee chiare sulle
priorità dell'associazione. “Stiamo lavorando su due fronti: da un lato, incentiviamo a livello locale un concetto
di programmazione commerciale e urbanistica di tipo qualitativo, che lasci più libertà all'imprenditore.
Dall'altro, siamo determinati nel promuovere una politica di crescita del Paese centrata sullo stimolo della domanda
interna, obiettivo da ottenere attraverso sia il recupero del potere d'acquisto delle famiglie sia una nuova stagione
di liberalizzazioni. In questo senso, guardiamo con grande attenzione e preoccupazione alla manovra fiscale dalle
persone alle cose
, che rischia di rallentare ulteriormente i consumi. Gli impegni a livello nazionale e locale si uniscono
nella richiesta di un maggiore coordinamento tra le regioni per quanto riguarda le decisioni relative al commercio. In
questo senso, abbiamo visto con grande favore l'indirizzo espresso dalla Conferenza delle Regioni e delle Provincie
Autonome sulla data unica di avvio dei saldi, una proposta che avevamo avanzato noi insieme a Federmoda. Tutte le
attività svolte da Federdistribuzione -prosegue Cobolli Gigli- sono finalizzate a porre in evidenza il ruolo della distribuzione
moderna per lo sviluppo del Paese attraverso: generazione di investimenti; creazione di occupazione; incidenza
positiva sulle economie del territorio, senza delocalizzare; crescita delle pmi di produzione e trasformazione e delle
imprese artigiane locali. La ragione è semplice: se la gdo è messa nelle condizioni di crescere, tutta l'economia, locale
e nazionale, ne avrà un vantaggio”.

I vantaggi, oltre che su larga scala, si ottengono anche
grazie a rapporti più proficui tra gli attori della filiera
produttiva. In questo senso, a livello di rapporti industriadistribuzione,
quali sono, oggi, le priorità?

Sono convinto che l'ottica con la quale guardare oggi il
rapporto industria-distribuzione non possa prescindere
da un'analisi complessiva del Paese, che certamente
evidenzia un momento critico, anche a causa dei problemi
strutturali che il Sistema Italia presenta. Abbiamo
bisogno di recuperare produttività ed efficienza e le filiere
possono giocare un ruolo decisivo. Per questo, più
che alle divisioni bisogna guardare a ciò che unisce e
si può fare insieme. Con l'industria certamente permangono
conflittualità negoziali, ma bisogna andare oltre
i rapporti contrattuali, guardando ai problemi di fondo
che ci coinvolgono: sostenere i consumi, promuovere
concorrenza, cercare efficienza di filiera, sollecitare un
sistema agricolo più moderno, equilibrare convenienzaqualità-
innovazione. Dobbiamo prenderne coscienza:
uniti, produciamo più valore che divisi, naturalmente
sempre nella chiarezza dei diversi ruoli che ciascuno
ricopre nel sistema.

Proprio la trasparenza, a volte, viene messa sotto accusa,
quando si parla di dereferenziare e listing fee … Questi ultimi
stanno sparendo a favore di una maggiore selezione?

Un processo di razionalizzazione dell'assortimento credo
sia inevitabile. Questo magari non vuol necessariamente
dire minor numero di referenze per categoria,
poiché le novità (vere o false che siano) sono sempre
molte. Però, certamente è in atto un serio processo
di rianalisi delle offerte, cercando di dare una struttura
più organica: minori duplicazioni, più spazio all'innovazione
(vera), alle nicchie, ai localismi, ecc. Per quanto
riguarda i listing fee, sappiamo che sono una sorta di
costo dell'inefficienza. La vera innovazione è molto rara:
secondo Nielsen, meno del 3% delle nuove referenze
(circa 27.000 nel 2009) che ci vengono proposte riescono
a raggiungere più del 30% della distribuzione, che
rappresenta l'indicatore di buona performance. Poiché
la gestione dello scaffale è un fattore critico di successo,
chi propone prodotti senza adeguati sostegni che ne
qualifichino la novità per i consumatori (ricerca, posizionamento,
comunicazione, ecc) deve partecipare alla
condivisione del rischio. Chi, invece, ha costruito una
storia di successo e vera innovazione non ha problemi
con la gdo. Il futuro dei listing fee credo sia, quindi,
legato al processo di innovazione di cui sarà capace
l'industria, fermo restando il percorso di razionalizzazione
degli assortimenti: più ci sarà autentica innovazione,
meno ci sarà bisogno di contributi all'ingresso.

Infatti, da questa esigenza di efficienza a scaffale, sono
nati i progetti di category, fino a qualche anno fa, al centro
dei rapporti idm-gdo. Oggi, sembrano a un punto fermo.
Un'esperienza da archiviare definitivamente?


L'idea del category, nato per dare maggiore efficienza
e rotazione allo scaffale, era quella di mettere insieme
informazioni e conoscenze di distribuzione e industria
(solitamente aziende leader) per ottimizzare lo spazio,
lavorando sul concetto di categoria anziché di singolo
prodotto. Questo implicava trasparenza nello scambio
di informazioni, soprattutto da parte della distribuzione
che metteva a disposizione i suoi dati interni. Il discorso
è proseguito nel mondo distributivo attraverso una maggiore
formazione del personale interno (da buyer a category)
finalizzata sempre ad una gestione ottimale dello
scaffale e dell'assortimento per massimizzare rotazioni
e margini. Questo viene fatto migliorando la capacità di
analisi delle informazioni interne ed esterne sui comportamenti
dei consumatori. In sostanza, l'idea del category
rimane valida e continua, anche se aumentano i casi nei
quali il progetto è sviluppato solamente con forze interne
alle aziende distributive.

Intanto, si cercano nuove soluzioni. Ad esempio, si parla
spesso di trust e coopetition, nuovi approcci in grado di
attivare forme di collaborazione più performanti. Concetti
astratti "da convegno" o esperienze ancora limitate?

Le imprese distributive operano in un sistema ancora
poco aperto alla concorrenza in molte sue parti e, quindi,
gravato da alti costi di inefficienza. Un sistema all'interno del quale devono competere tra loro e cercare
continuamente maggiore produttività. In questo senso,
in linea teorica, ogni strada è da valutare; però, è proprio
la forte concorrenza che rende difficili strade di coopetition.
Anche se, guardando alla storia del nostro settore,
la d.o. ne può essere considerato un esempio, avendo
più imprese messo in comune alcune funzioni, come la
gestione della marca privata, di una prima negoziazione,
del marketing, della comunicazione, ecc.

In questo contesto, le supercentrali hanno ancora valore?

Le supercentrali da sempre hanno avuto storie travagliate,
si sono formate e sciolte con frequenza. Ciò testimonia
come sia complesso trovare accordi duraturi, per la
concorrenza tra imprese e per le continue revisioni di
strategia da parte delle aziende che rendono superate
le alleanze. C'è anche un altro fatto: i giochi si decidono
sempre più nella negoziazione di 2° livello tra imprese
singole (distributive e industriali), piuttosto che con gli
sconti ottenuti dalle supercentrali. Ho, infatti, la sensazione
che sia lì che si ottengono risultati importanti,
parlando di marketing, prestazioni e controprestazioni,
vere attività che possono orientare il comportamento
del consumatore e produrre risultati positivi sia per
l'industria sia per la distribuzione. Ciò non toglie, naturalmente,
che le supercentrali abbiano ancora un ruolo
importante nell'equilibrare il rapporto tra un'industria
molto forte, con i suoi prodotti leader indispensabili negli
assortimenti, e una distribuzione parcellizzata.

Certo la crescita delle Pl, sempre più brand, che può
traformarsi anche in insegna, riequilibra la situazione.
Questa trasformazione cambia il loro ruolo oggi?

Per la distribuzione, le Pl sono fondamentali: danno
servizio al cliente (miglior rapporto qualità/prezzo), completano
l'assortimento, conferiscono credibilità, creano
fedeltà. Per i consumatori, sono un elemento di scelta
indispensabile. Per il mondo dei fornitori, occorre fare
qualche distinzione: per le pmi rappresentano un'opportunità,
aprendo nuovi e più vasti mercati; per le grandi
aziende, da un lato, sono una minaccia, dall'altro, uno
stimolo a fare sempre meglio, differenziandosi, innovando
ed investendo in comunicazione. Se le imprese leader
faranno questo, ci potrà essere complementarietà
sugli scaffali, a tutto vantaggio dei consumatori.

Liberalizzazioni: possibili mosse per ottenere qualche risultato?
Possibile aggregare altre forze, ad esempio l'idm?


Le liberalizzazioni non sembrano più di moda. Bisogna,
invece, continuare a spingerle, portandole all'attenzione
dei media e del mondo politico e cercando di evidenziare
i costi che il Paese sostiene per i limiti imposti alla
concorrenza. Uno studio realizzato da Cermes Bocconi
li ha quantificati in circa 23 miliardi all'anno per soli sei
settori del mondo dei servizi (distribuzione alimentare e
non alimentare, carburanti, farmaci, banche e assicurazioni).
Dobbiamo convincere le istituzioni ad avviare una
nuova stagione di riforme, mettendo il cittadino al centro,
invece degli interessi delle corporazioni. Per questa
spinta serve un fronte più ampio possibile e, quindi, il
coinvolgimento della idm è opportuno. Ma non solo: l'interesse
dovrebbe essere per tutto il mondo produttivo,
in qualsiasi anello della filiera. Dovrebbe diventare un tema
caro anche all'agricoltura e a tutti i settori industriali

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome