Nuove esperienze di visual merchandising

Il confronto tra online e offline porta nuova forza al punto di vendita che deve far leva su una relazione conviviale e sorprendente dove l’effetto “wow” è gridato a gran voce (da Gdoweek n. 17)

Singlechannel, multichannel, crosschannel e omnichannel: qualsiasi sia il canale nel quale i consumatori si muovono, il punto di vendita resta un elemento essenziale nella decisione d’acquisto. Al di là del mix online-offline, i consumatori sono alla ricerca di un’esperienza che li possa condurre a sentirsi unici e centrali. L’experience è dunque un filo conduttore che li accompagna all’interno di un’architettura che deve sorprendere e nel contempo catturare, senza dimenticare l’elemento principale: saper vendere. Se nell’online il magnete è la convenienza legata a doppio filo alla contrazione dei tempi di consegna a domicilio, diverso è per lo store che deve giocarsela su elementi empatici. Fattori, questi ultimi, confermati anche durante la 12a edizione del Consumer & Retail Summit da Alessio Agostinelli, partner e managing director di The Boston Consulting Group, che ha precisato i nuovi modelli di interazione e coinvolgimento da sviluppare instore: vendere e provare; brand come servizio; animazione in negozio. Il punto di vendita deve essere vissuto dal cliente come un luogo dove la relazione scorre sulle corde della piacevolezza e della convivialità. Ancora una volta lo store conta e può far leva su un’arma vincente,cioè il valore del coinvolgimento, della relazione che si instaura in modo profondo e radicato con i consumatori. Fattore coadiuvante del coinvolgimento è certo il visual che, grazie ad elementi impattanti, è in grado di regalare ai clienti esperienze emozionali capaci non solo di avvicinare, ma di trattenere e fidelizzare.

Così architetture inusuali, che sanno di strabiliante, di sorprendente sono il punto chiave per emozionare e regalare un pathos che l’online non è in grado di offrire e che il visitatore non si aspetta di trovare. Ad esempio, il concept Adidas realizzato a Milano Duomo riproduce uno stadio per far sentire i visitatori, ribattezzati creator, i protagonisti assoluti tra gradinate e corridoi che conducono sul campo da gioco. Oppure il temporary store milanese Ebarrito, brand di accessori made in Italy, che anziché esporre in modo “tradizionale” con scaffalature e tavoli, usa elementi di casa come sedie e poltrone per arredare, mentre le scarpe sono disposte su una parete argentata tra gabbie per canarini. Se poi alla sorpresa si vuole aggiungere un ingrediente più ricercato, ecco allora che vengono in soccorso l’arte e la creatività. Ne è testimone il department store Rinascente Roma, che ha al suo interno un sito archeologico ovvero i resti dell’Acquedotto Vergine, un acquedotto romano inaugurato da Augusto nel 19 a.C. Oppure il supermercato Despar a Venezia aperto nell’ex Cinema Teatro Italia dopo un periodo di restauri, evitando il decadimento del palazzo di inizio Novecento.

Questi esempi rendono bene l’idea di come il punto di vendita non debba essere un luogo standardizzato dedicato al solo shopping. Il coinvolgimento e la relazione stanno alla base di un rapporto che deve esprimere creatività e condivisione. Ecco perché è importante che anche il punto di vendita sia al passo con i tempi e si presti a farsi fotografare per garantirsi una condivisione sui social, in particolar modo Instagram.

L’applicazione di photo sharing è il social media più usato dagli utenti: perché, dunque, non far trovar loro un’area dove potersi fare un selfie con tanto di richiamo all’insegna-brand oppure invitarli a fotografare un capo o un prodotto (nel caso dell’abbigliamento già avviene in alcuni camerini), o installare instore un video wall che trasmette i contenuti fotografici che ottengono più consensi? Detto fatto: Kfc espone un murale dove potersi fotografare e postare su Instagram con tanto di logo ben in vista; anche Sephora nel flagship di Milano ha adottato una soluzione simile (vedi Gdoweek n° 15 - 2018, pagg. 38-40). Se poi il richiamo dei social non bastasse, si può sempre strizzare l’occhio al mondo digitale con soluzioni che rendono il visual più smart. Dalle postazioni per ricaricare gli smartphone al wi-fi, che possono essere comunicati ai clienti con indicazioni instore che creano arredo, fino a tablet “vestiti a festa” per teatralizzare il punto di vendita o a robot che personalizzano i pack come da Kiko Milano Duomo.

Non meno importanti i colori che garantiscono un impatto visivo incisivo sia che siano applicati alle attrezzature (scaffalature, tavoli e mensole) sia che siano spalmati su elementi architettonici più stanziali come l’illuminazione e le controsoffittature. Un effetto “wow” che in alcuni casi si lega ai colori dei prodotti come nel caso di Maxi Simply di Noci (Ba) che nel reparto ortofrutta unisce le nuance di frutta e verdura a quelle del soffitto creando un percorso virtuale d’effetto, oppure Lush nel suo store di Roma, in via del Corso, dove i colori dei prodotti si sposano con l’arredo underground multicolor. Senza dimenticare l’anima green: la sostenibilità ambientale ha pervaso anche il mondo retail e i punti di vendita sono sempre più realizzati con questo orientamento. Perché non farne un elemento visivo che, non solo informa, ma rende l’ambiente attraente? Una semplice scritta su un muro come da Green Station (Gruppo Pedon) a Milano, crea empatia e condivisione.

 

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