Perché il negozio attrae o respinge

Isabella Goldman, managing partner di Goldmann & Partners, racconta la genesi e le strategie contenute nei Principi Cnmi per la sosteniblità del retail. E non toccate il concept (da Gdoweek n. 17)

Cosa rende un negozio attraente e cosa invece spaventa i clienti e li porta a completare molto più rapidamente solo gli acquisti necessari? Parte del successo di uno store si deve alla sua progettazione intesa come quell’ampio insieme di caratteristiche spesso identificate nel concetto di sostenibilità. Una guida utile ad architetti e retailer è il  progetto di Camera Nazionale della Moda Italiana Principi Cnmi per la sostenibilità del retail redatto dal Centro Studi per la Sostenibilità Applicata di Goldmann & Partners con il patrocinio di Ministero per lo Sviluppo Economico, Inbar (Istituto Nazionale di Bioarchitettura) e l’Associazione Tessile e Salute, presentato a Shoptalk Europe di Copenhagen lo scorso ottobre.
“È stata una sfida perché non mi ero mai cimentata nel retail in una rilettura di un luogo di vendita dal punto di vista del benessere, ovvero mettendo al centro lo stare bene di
ogni persona -spiega Isabella Goldmann, managing partner di Goldmann & Partners e advisor di Cnmi per i progetti di bioarchitettura applicati al retail-. La differenza è che ora questo viene fatto in maniera scientifica, mentre fino ad oggi era demandato al gusto e all’esperienza del retailer, spesso influenzato da mode e tendenze”.
Il primo passo è stata un’analisi dell’ambiente retail per trovare le criticità ricorrenti, analizzando come benchmark tre store di primari marchi della moda: “Il tema centrale è che il negozio è un ambiente nel quale si investe molto e dal quale ci si aspetta una performance di vendite, ma anche di immagine. Questo di certo non avviene se le persone per qualche ragione non si sentono a proprio agio al suo interno”. L’unico “limite” posto da Cnmi è stato quello di non mettere in discussione il concept, considerato nelle linee guida sacro.  Alle criticità emerse, l’architetto ne ha esaminate altre scaturite dall’esperienza nel mondo abitativo, per arrivare a definire una serie di “azioni” (di base, avanzate e di eccellenza). “Il manuale è scientifico, ma anche strategico -spiega Goldmann- perché interviene nella fase di progetto e di successiva verifica delle performance grazie al database che abbiamo come Studio di progettazione, calato in algoritmi per la Progettazione Bim (Building Information Modeling)”. Il beneficio sul bilancio in termini di risparmio di costi generale di manutenzione è pari al 30%: in questo modo non ci si affida più solo alle percezioni dell’architetto, ma si tratta di un sistema oggettivo e scientifico che permette di discriminare la validità tra una scelta di layout e un’altra.
Torniamo al concetto di benessere che parte dalla definizione di essere umano come animale dotato di due cervelli: uno primitivo, l’amigdala, e uno razionale. “L’amigdala ragiona su tre necessità di base -prosegue Goldmann-: paura, fame e freddo. Quando si ha paura, ci si compensa scaldandosi e mangiando; quando si ha fame si tende ad avere molta paura e quindi ad avere necessità di rassicurazione e di coprirsi; se si ha molto freddo, si cerca rassicurazione e si mangia. Di fatto: delle tre necessità, due compensano la mancanza di una. La componente più importante per il retail, spesso sottovalutata, è quella della paura”. Chi entra in negozio, infatti, percepisce in meno di 90 secondi se lo spazio è accogliente o meno. “Non significa che il cliente scappa subito -dice Goldmann-. Se il concept è pensato per condurre il cliente nella maniera più convincente possibile a comprare un certo prodotto, spesso si trascurano i possibili errori nel tragitto e si corre il rischio che il cliente arrivi nel pdv, ma non rimanga il tempo sufficiente ad acquistare, o comunque l’ambiente non fa sì che quell’acquisto avvenga a tutti i costi”. “Sempre perché l’uomo è un animale -prosegue Goldmann-, le altre famiglie di variabili che entrano in gioco sono le sollecitazioni di natura fisica e chimica: uno spazio chiuso è un luna park di sensazioni sovrapposte. Stiamo costruendo spazi tossici, ma perfettamente a norma, cioè composti da prodotti ciascuno a norma, ma la cui combinazione genera invivibilità”. Bisogna anche capire cosa si intende per sostenibilità? “Prima di tutto non è un sinonimo di efficienza energetica, che è solo una delle derivate -dichiara Goldmann-.
In realtà le sostenibilità sono 8: quella territoriale, ovvero la possibilità di realizzare l’edificio giusto in base al luogo; quella sociale, che prevede il negozio più mirato per il target; quella ambientale, che dà l’impronta sull’ambiente; quella antropica, legata al benessere delle persone nel negozio; e quella tecnologica, cioè il livello di update, che non necessariamente deve essere massimo. Poi la sostenibilità energetica, che non a caso arriva quasi in fondo, perché lavorando bene sulle altre il fabbisogno si riduce. Poi la sostenibilità gestionale, che mette tutto a sistema, e infine quella economica. L’economicità del progetto è proprio qui -conclude Goldmann-, nel saper dare a ogni variabile il peso giusto e non eccedere nei dimensionamenti. Il vantaggio ulteriore è che questi principi si possono applicare gradualmente. Alla fine si tratta di tornare ai principi basici fissati nella storia dell’architettura, quando non c’era l’impiantistica a risolvere gli errori di progettazione”.

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