Da GDOWEEK 3 marzo 2015
Nei prossimi anni assisteremo a una rivoluzione di tipo economico/di approccio al consumo che vedrà lo store fisico, il cosiddetto brick&mortar, attraversato da una serie di fenomeni che ne muteranno per sempre la fisionomia, lo scopo e l’approccio con il cliente, anche se non ci sarà nessuna smaterializzazione dello store, come i primi teorici dell’e-commerce avevano previsto: soprattutto in una nazione come la nostra nella quale la materialità, dal rapporto con il prodotto, con il pdv al pagamento con moneta “reale”, rimangono centrali nell’esperienza di acquisto. Tuttavia la distribuzione che si definisce “moderna” non può rimanere cristallizzata in una formula, deve saper evolvere per rispondere ai bisogni di una società in veloce e tumultuoso mutamento. Per offrire alcuni spunti di riflessione sul futuro abbiamo selezionato sei tendenze che suffraghiamo con esempi colti ai quattro angoli del pianeta.
Fast, Mobile & Omnichannel
La multicanalità, la capacità di intercettare questo flusso crescente di consumo smaterializzato, è uno dei trend più importanti del futuro, ancor di più rispetto a oggi. “Be there and everywhere” sentenziano i guru del web marketing, indicando come strada maestra quella di investire nello sviluppo di soluzioni mobile che implementino la shopping experience tradizionale con le infinite potenzialità del web commerce oltreoceano. Tanti gli esempi di retailer B&M che stanno spingendo sul pedale dell’innovazione. Ad aprire la strada è stata Walmart con il lancio della app Scan & Go, che permette di scansionare il codice a barre dei prodotti messi nel carrello della spesa e di arrivare in cassa trovando lo scontrino pronto. Poi è arrivato Macy’s, che ha deciso di chiudere alcuni pdv poco profittevoli e di investire con forza nell’ecommerce, organizzando delivery in tutto il mondo, Italia compresa. Ma il mondo del retail è alla finestra e attende gli effetti di Amazon Fresh, servizio di vendita online di freschi organizzato dal big mondiale dell’e-commerce, l’autentico temibile competitor per tutti. D’altronde, la tecnologia annulla le distanze tra scoperta di un prodotto, la sua valutazione spesso condivisa con altri utenti e l’atto di acquisto. Tutto in pochi istanti e ovunque, dal punto di vendita “fisico” fino a tutte le piattaforme possibili, social o no. Secondo un sondaggio di Wd Partners, il 79% degli intervistati ha citato l’istant ownership come il sentimento più appagante della shopping experience, sia che si tratti di venditori online sia offline.
I social sono un modello calzante di questa tendenza che si sta rapidamente affermando: Twitter, dopo avere acquistato Cardspring, società di infrastrutture di pagamento digitale, ha introdotto la funzionalità buy now, annullando le distanze tra esperienza social e acquisto. Le nuove tecnologie permettono esperienze d’acquisto disruptive rispetto al passato, soprattutto quando sono wearable (come Google Glass).
Smart & Tailor made
Una testa, un mondo. Il consumatore 2.0, dopo avere compreso il valore che hanno le sue scelte, non vuole essere più massa, vuole essere trattato da individuo, anche dal supermercato sottocasa. Un sondaggio Cmo Council rivela che il 54% degli statunitensi è disposto a cambiare per sempre il proprio negozio se non riceve informazioni, aiuto e un pacchetto di offerte personalizzato sui propri gusti/abitudini.
Siamo di fronte al ritorno della fedeltà, ma in chiave individuale? Pare proprio di sì. Ad esempio, la catena di abbigliamento neozelandese AS Colour ha introdotto uno scanner che individua il colore della pelle del cliente e lo mette in relazione con le nuance dei capi. Il risultato? + 16% nelle vendite. In Italia Oviesse, in collaborazione con Google, sta introducendo dei camerini virtuali dove provare capi d’abbigliamento senza indossarli e vedere come potrebbero stare se inddossati. Oltre che, ovviamente, condividere sui social network i propri look.
Piccolo & urbano
Negli Usa, Walmart ha ri-brandizzato i suoi Walmart Express, piccole superfici di prossimità, in Walmart Neighborhood, il Walmart del vicinato, a sancire il senso di vicinanza e di comprensione dei bisogni locali. Il gigante statunitense della distribuzione ha avviato un piano per battezzare con la nuova insegna tutti i suoi store di prossimità. Ma non è l’unico. “Le cose buone sono nelle piccole confezioni”. Il motto del neonato Target Express aperto a Minneapolis svela fin da subito la sua missione. Offrire un’esperienza di acquisto gratificante ma semplificata, visto che il nuovo store ha un’offerta che rappresenta solo il 15% dei normali Target, ma è attento ai bisogni di chi vive o studia nei pressi (la Minnesota University). Anche la politica di Dollar General, catena con 11mila punti di vendita sparsi in 40 Stati degli Usa, prevede store di piccole dimensioni, inserite nel tessuto urbano, con un’offerta di prodotti di marca ad alta rotazione (food, cura casa/persona, snack) offerti a un prezzo concorrenziale. Il posizionamento del retailer è chiaro: risparmiare tempo, evitando di guidare fino alle grandi mall fuoricittà, significa risparmiare denaro. In Europa, si segnalano i casi di Tesco e di Sainsbury che hanno da tempo deciso di puntare su store di ridotte dimensioni incentrati sui freschi e sul take away, in modo da “rubare” spazi di mercato ai fast food e ai negozi di vicinato. Secondo le previsioni di IGD di qui al 2019 in Gran Bretagna il business nei negozi di quartiere crescerà del 31% a valore.
Food experience
L’attenzione per la cucina e tutta la cultura ad essa collegata ha preso piede in tutto l’Occidente e non solo. I negozi della distribuzione moderna dovranno essere sempre più in futuro delle piattaforme, attraverso le quali il cliente potrà vivere la sua esperienza culinaria su più piani, dalla ricerca degli ingredienti di qualità per le proprie ricette home made alla possibilità di consumare pasti di qualità, fino ad interagire con altri clienti/food lover in un concetto di community allargata. E così la ristorazione “romanza” il punto di vendita.
Whole Foods è l’esempio più calzante di questo trend: nei suoi store, il retailer premium americano ha ristoranti, sale di degustazione, organizza corsi di cucina. Proverbiale l’attenzione al mondo della birra artigianale, con brewpub, corsi e seminari per gli homebrewer, sessioni di degustazione: con l’apertura del San Josè Market in California, Whole Foods ha inaugurato un microbirrificio al suo interno (si veda Gdoweek 2/2015 a pagina 20, ndr). Kroger attrae i propri clienti con un restaurant in shop, così come Wawa la cui offerta ricalca quella di un fast food/caffetteria con annesso marketplace. O il retailer canadese Longos, con la sua offerta declinata in chiave gourmet e un’atmosfera tra il mercato e il bistrot. In Italia è emblematico lo store di Coop Adriatica in piazza Martiri a Bologna, con un self-service da 40 posti, un bar e un orto di erbe aromatiche a disposizione dei clienti.
Locale & sociale
In una società fondata sulla mobilità veloce di persone e prodotti, il localismo, il territorio, il sostegno all’economia locale e i prodotti e/o servizi pensati per la comunità sulla quale incide il negozio possono rappresentare un veicolo di radicamento nel tessuto sociale per un’insegna. Una sorta di piattaforma aperta capace di fare interagire commercio e vita della comunità, nella quale l’esperienza di acquisto si fonde in quella di relazione, aperta e inclusiva. Biblioteche, officine per biciclette, vita sociale: lo store brick & mortar è sempre più un hub dal quale il cliente acquista non solo prodotti,ma vive. H-E-B la catena Usa diffusa tra Texas e Messico è un chiaro esempio di forte appartenenza identitaria, locale, che fa leva sul sentimento dei texani e sulle loro abitudini, adeguando politica assortimentale e promozionale alle loro esigenze. O la catena californiana Smart & Final che ospita nei parcheggi dei suoi store un farmer’s market nel quale gli agricoltori locali possono vendere i loro prodotti.
In Europa da segnalare l’esperienza di Carrefour in Francia, con l’accento sui produttori locali e sulla disponibilità/competenza degli addetti del punto di vendita.
Mercati reloaded
Strutture liberty che diventano straordinari contenitori d’epoca, vere cittadelle del cibo dove andare per farsi coinvolgere dal colore e dal profumo degli alimenti in vendita sulle bancarelle e negli stand dei commercianti. Ma anche da assaggiare sul posto, appena cucinati, o da accompagnare a un aperitivo o un dopocena all’insegna del food locale, vivo e fresco. Quello dei mercati coperti è un trend in forte sviluppo da anni, che accomuna tutta l’Europa, da Lisbona ad Amsterdam, e che di recente è sbarcato anche nello stiloso mercato del pesce di Besikstas, a Istanbul, o nel ritrovato Mercato Centrale di Firenze. E c’è persino un progetto Ue, di cui è capofila Rialto a Venezia, per il recupero e la valorizzazione dei mercati storici urbani. Ma i mercati non sono solo folklore: molti si sono attrezzati per restare al passo con i tempi e ora propongono nuovi servizi che semplificano e facilitano la spesa.
Alcuni consentono di prenotare al telefono o su internet la spesa che poi il cliente ritira, già impacchettata, quando gli fa comodo, oppure recapitano direttamente a domicilio gli acquisti fatti via web, come succede all’Albinelli di Modena o al Serpentara di Roma.