Negozi in grado di fornire un’esperienza di shopping coinvolgente grazie all’ambientazione e a un’offerta profonda e ampia, a prezzi competitivi (anzi i più bassi del mercato), in grado di rispondere a quei bisogni aleatori dei consumatori, strategici nella scelta di un’insegna: questa per Michel-Edouard Leclerc, presidente del Mouvement E.Leclerc, la ricetta per ridare fascino all’ipermercato.
Come si immagina il futuro dell’ipermercato?
Credo che oggi le difficoltà di questa formula siano legate al fatto di essere ancora un modello industriale. Per tornare a renderli redditizi e attrattivi, bisogna lavorare, prima di tutto, sulla rivitalizzazione dell’offerta alimentare in un’ottica maggiormente accattivante soprattutto in alcuni reparti. Penso, ad esempio, alla trasformazione del reparto vini in una vera e propria cantina, in termini di ambientazione e di offerta, mentre il reparto ortofrutta deve ricordare sempre più un mercato. Per il reparto formaggi e gastronomia, penso all’estensione dell’assortimento di alcune categorie in chiave locale e di tipicità, soprattutto nei formaggi. Ogni insegna sceglierà i suoi punti di forza, ma l’elemento centrale sul quale si giocherà la competizione, sarà la capacità dei singoli retailer di veicolare un’esperienza piacevole. Del resto, non ci sono alternative, di fronte a un consumatore bersagliato di proposte che può scegliere tra opzioni sempre più numerose.
Questo discorso vale anche per il non food?
Certamente. La spesa non alimentare continua a essere importante e gli ipermercati devono valorizzare il non food, dai piccoli elettrodomestici agli articoli per la tavola, con articoli in grado di attirare chi oggi ci frequenta meno, come le giovani coppie. Sono convinto che il futuro dell’ipermercato sarà legato alla sua capacità di trasformarsi in un grande showroom, dove le persone si recano con piacere, non solo per rispondere a esigenze i funzionali, ma anche per trovare e acquistare merci diverse.
Eppure, nel non alimentare, la concorrenza della rete è sempre più forte...
Non c’è dubbio che internet stia completamente ristrutturando il modo di fare acquisti. I consumatori si informano prima di uscire di casa e si recano in negozio solo se lo reputano effettivamente interessante e conveniente, differenziando la scelta in base alle esigenze. Per questo, puntiamo, per le vendite online, a raggiungere una quota del 10% del fatturato totale entro 5 anni. Ma il negozio rimane centrale: per questo abbiamo lavorato per migliorare sia il livello dei qualità dei reparti, come ho già detto, sia i servizi. Una risposta è, ad esempio, E. Leclerc Drive, che rappresenta in Francia una quota del 50%. Amazon è al 15%, dimostrando di non essere ancora un competitor temibile e impattante sul nostro business, anche se probabilmente lo diventerà.
Parliamo di prezzi, da sempre un fattore di successo degli ipermercati.
Anche in questo caso si tratta di fornire la massima ampiezza di gamma, con l’obiettivo di essere i meno cari. Abbiamo lavorato in questi anni per dare il giusto prezzo a ogni gamma, puntando sempre a ottenere quello più basso possibile. Non vogliamo diventare un discount, ma ridare quel giusto valore che con la crisi è andato distrutto.
Da dove si parte per abbassare i prezzi?
Non dai prodotti agricoli. Sul fresco non trasformato siamo già arrivati al massimo, ma sul fronte delle grandi marche possiamo ancora lavorare e ottenere ampi margini di miglioramento. In questo senso, un’alleanza come Coopernic è importante, in quanto ci consente di risparmiare circa il 2-3% sul prezzo di una gamma.
Come vede l’evoluzione del rapporto tra gdo e industria di marca?
Penso che anche l’industria intraprenderà la nostra stessa strada per cercare il giusto prezzo e ricostruire quanto è andato perduto in questi ultimi anni. Si tratta di un percorso di valorizzazione che va condiviso, superando la normale competizione della negoziazione. Una volta arrivati a scaffale i prodotti, si aprono nuove strategie comuni.