Illuminare l’esperienza: la visione dell’architetto Pironi

Oggi per tutti i negozi il vero lusso è farsi ricordare. Come? Ce lo spiega l’architetto d’alta gamma Claudio Pironi (da Gdoweek n. 17)

Retailer, si va in scena. Perché, oggi più che mai, il punto di vendita è la scenografia per raccontare una storia, che deve diventare memorabile. Il vero lusso, infatti, è farsi ricordare e per farlo serve un progetto costruito con competenza tecnica, oltre che creativa. Questa la prospettiva di Claudio Pironi, architetto d’esperienza internazionale nel retail di lusso e nel residenziale d’alta gamma, che nel 1997 ha fondato lo studio Claudio Pironi & Partners.

Cosa significa progettare spazi per il lusso?

Il retail è diventata un’attività complicata dal punto di vista della redditività per i negozi d’alta gamma, che, da un lato, si stanno riducendo in quantità, dall’altro stanno capendo quanto sia importante costruire un’esperienza personalizzata, in grado farsi ricordare. Per Billionarie (2018) a Parigi abbiamo utilizzato la luce per creare un racconto esperienziale, come in una scena teatrale, con il consumatore che riceve “spot” diversi quando entra e si muove all’interno del negozio, seguendo uno storytelling. La luce è sempre fondamentale e il suo utilizzo richiede grande competenza tecnica. Secondo la mia filosofia personale, un progetto mediocre con un’ottima luce può diventare eccellente; viceversa un progetto eccellente può diventare mediocre a causa di un cattivo utilizzo della luce.

Cosa cambia tra il lusso e gli altri settori del retail?

Offrire un’esperienza esclusiva è nel dna del retail di lusso da sempre, ma oggi ne è il focus primario. Questo tipo di tendenza sta arrivando sempre più verso altri mondi, proprio come avviene per i trend della moda. Non a caso si stanno rivolgendo a noi nuovi brand non tipici del lusso, ma che vogliono offrire un’esperienza esclusiva, con budget più contenuti. In questo momento, stiamo sviluppando un concept per un competitor di Zara, in chiave small. La stessa cosa sta accadendo per gli hotel, con i boutique hotel, che puntano a un’esclusività meno impersonale.

Regole di base, quindi, uguali anche per la gdo?

A mio parere sì. Tornando a casa, ho visto un nuovo store Aldi e ho notato come, anche in un discount, si presti grande attenzione all’esperienza. Anche nella gdo l’applicazione del concetto di storytelling deve svilupparsi, come nel packaging e in altri settori. Quando esco da un super (qualsiasi sia la sua insegna) non devo avere l’impressione, di fondo, di essere stato nello stesso posto, tanto da non ricordarmi successivamente dove ho comprato. Esselunga negli anni Sessanta ha realizzato superfici che già prestavano attenzione all’esperienza e sapevano farsi riconoscere attraverso lo stimolo di un’emozione.

Risorse importanti per riuscire in questa operazione?

Non servono budget enormi. Più che altro dettagli estetici e tecnici che fanno un’enorme differenza e richiedono competenza. Un progetto deve nascere con i materiali definitivi e con la luce, che non possono essere inseriti successivamente alla progettazione del layout. Facciamo un esempio tecnico: l’illuminazione in un camerino è di solito scelta in funzione della luce e dell’atmosfera del negozio, una scelta giusta solo in teoria. Se si utilizzano lampadine con csi (color rendering index) basso, tutti i colori in camerino saranno sfasati con il risultato che, quando il cliente uscirà, si accorgerà che i colori del suo vestito sono altri, probabilmente meno vividi. Il camerino deve essere dunque al pari di una sala prove dove l’azienda produce. Eppure è un concetto che fatico a veicolare ai miei clienti.

Quindi, prima tecnica e poi creatività?

Sì. Il layout deve essere la spina dorsale per creare la struttura a supporto della creatività; questo vale per tutti i settori retail. La creatività deve essere a servizio della tecnica, non viceversa. Negli store di lusso devono esserci aree funzionali, come lounge e camerini, prodotti esposti ecc.: ciò è la base di ogni negozio. Anche gli oggetti che creiamo devono essere funzionali: non serve un supermercato ultra-tecnologico se poi non si trovano i prodotti.

Quale ruolo per la tecnologia, allora?

È uno strumento straordinario ma anche un’arma a doppio taglio: rischia di rendere effimera l’emozione di avere qualcosa di nuovo. Penso alle telecamere messe in un camerino per permettere di specchiarsi da 360°: costosissime e dopo poco dimenticate, perché a nessun consumatore importava. La tecnologia, insomma, non deve essere fine a sé stessa.

Un negozio che vorrebbe progettare?

Uno store molto grande, di lusso ma non necessariamente, dove poter raccontare in modo omogeneo la storia di ciò che accade come in un teatro, su più palcoscenici, ovvero in modo sequenziale.

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