Intervista a Luigi Bordoni sul rapporto fra innovazione, brand, filiera

Stiamo tutti sulla stessa barca in
tempesta", sintetizza Luigi Bordoni,
presidente di Centromarca e
storica voce dell’industria di marca.
In una lunga conversazione con Gdoweek, Bordoni
affronta temi nodali per i grandi brand e per l'intera
filiera. Sullo sfondo dei suoi ragionamenti, la crisi insidiosa
e selettiva che ha colpito l'economia italiana,
la mancanza di scelte di politica economica a sostegno
dei consumi, la competizione dura, vera che si
gioca ogni giorno sugli scaffali dei supermercati e
il desiderio di avviare con il trade un nuovo ciclo di
relazioni all'insegna della generazione congiunta di
valore. "Ogni sinergia oggi è preziosa per tenere alto
l'appeal dell'offerta e, quindi, le vendite". Per la marca,
questo significa "Tenere su innovazione, qualità, comunicazione,
pressione pubblicitaria, attività di trade
marketing nei punti di vendita, che devono essere di
grande qualità, per garantire qualità di esecuzione
all'intera categoria a scaffale.". Un compito non facile,
vista la contrazione dei margini determinata dalla forte
pressione promozionale esercitata in questi anni,
che, da una parte, ha contribuito a rendere il largo
consumo un settore con una dinamica dei prezzi
nettamente inferiore all'inflazione, ma, dall'altra, ha
penalizzato i conti economici. E di scenari futuri e di
effetti sulle imprese discuteranno, insieme, a giugno,
in un incontro a porte chiuse, voluto da Centromarca.
il top management di Idm e gdo.

Quale la ricetta per uscire da questa situazione?

Sul punto di vendita dobbiamo collaborare meglio
e più intensamente con le aziende della moderna
distribuzione. Un problema centrale è il recupero del
valore: non possiamo continuare con una pressione
promozionale così elevata, perché non ha prodotto i
risultati desiderati. La guerra dei prezzi ha forse rilanciato
i consumi? Non mi pare. I fondamentali su cui
lavorare li conosciamo: si chiamano qualità, innovazione,
comunicazione, qualità dei format distributivi…
Prendiamo in considerazione anche il prezzo, perché
la perdita del potere d'acquisto è un dato di fatto
incontrovertibile, ma evitiamo di trasformarlo nella variabile
centrale di relazione con il consumatore. Così
ci perdiamo tutti, a partire dal cliente.

Vero, anche se, in questi tempi di crisi, si è avuto la sensazione
che prima di tutto la marca non abbia appieno
svolto il suo ruolo, soprattutto a livello di comunicazione,
preferendo il silenzio. Come esce la marca da questo
momento un po’ buio? Il suo ruolo è cambiato?

Non sono d'accordo con questa analisi. Basta entrare
in un qualsiasi pdv per rendersi conto del ruolo centrale che la marca esercita anche nelle catene
che, in questi mesi, hanno rivisitato gli assortimenti
e razionalizzato le presenze a scaffale. La grande
marca era e resta centrale: è quella che il consumatore
desidera, che identifica la categoria e costituisce
l'elemento di riferimento qualitativo. A livello
di comunicazione, il nostro ruolo nel mercato è fuori
discussione sui mezzi classici e si sta ampliando a
mezzi nuovi come internet, dove molte delle nostre
aziende hanno avviato progetti di grande rilevanza.
Quello che dovremmo fare di più, a mio parere, a
livello di singole industrie, è lavorare sui nostri stakeholder
per evidenziare gli aspetti di eccellenza,
non sempre immediatamente percepibili, che contraddistinguono
il prodotto di marca e l'azienda.

Davvero non pensa che esistano difficoltà di comunicazione
nella gestione dei nuovi media e della rete?

I nuovi media rappresentano una nuova sfida per
tutti! Ne abbiamo discusso, non oggi, ma tre anni
fa, con 140 manager della comunicazione delle
nostre industrie e un gruppo di autorevoli giornalisti
della tv e della carta stampata, in un convegno
promosso proprio da noi. Ci sono nuovi elementi
da gestire: il primo è l'immediatezza della comunicazione;
il secondo, la possibilità per tutti di far
circolare idee, giudizi, informazioni sul web; il terzo
è l'esigenza, che le grandi marche hanno ben
presente, di comunicare sulla base di quanto si
ascolta e non esclusivamente sulla base di scelte
fatte a tavolino.

Parliamo di private label, visto che i retailer, in
questi anni, hanno molto lavorato sulla loro marca
insegna e su una loro segmentazione efficace ...

Ci sono casi di eccellenza. E, spesso, queste
aziende sono anche quelle più efficienti, che
avviano partnership redditizie con l'industria di
marca.

Le Pl sono un competitor pericoloso?

Direi che sono un competitor “difficile” nel senso
che creano un rapporto asimmetrico con i distributori:
grandi clienti e, nello stesso tempo, importanti
concorrenti. Detto questo, senza dubbio in alcune
catene la marca commerciale è cresciuta e si è posizionata
anche in ambiti premium. Ma, in generale,
la quota di mercato della Pl in Italia resta la più bassa
d'Europa. Gli stessi retailer non ritengono che
potrà raggiungere i livelli registrati altrove. Peraltro,
nel 2010 il suo tasso di crescita medio è stato inferiore
a quello registrato nel 2009. Per questo, resto
convinto che la vera partita tra industria e distribuzione
vada giocata sulla qualità della relazione.

Superando finalmente le polemiche su innovazione
vecchia e nuova, aumenti di listini, listing fee …


Occorre riconoscere che la “corsia preferenziale
per l’innovazione” ha prodotto risultati di rilievo,
dando alla materia un inquadramento condiviso,
che facilita rapporti e risultati sul campo. Anche in
tema di aumento dei listini, non registriamo i contrasti
virulenti del passato, ma valutazioni più riflessive
e oggettive sulle cause reali, sulle dinamiche
globali che determinano le tensioni inflazionistiche
in atto. Anche questo è frutto di lavoro comune e di
condivisione di analisi. In ogni modo, su tutti i terreni
dell'efficient consumer response, dalla demand
side alla logistica, ci sono ancora tante cose da
fare che porterebbero benefici a entrambi in termini
di efficienza ed efficacia. Qui l'industria è pronta a
fare la sua parte.

Anche in altri ambiti sono necessari chiarimenti. Nei
rapporti industria-distribuzione, ad esempio, un tema
caldo riguarda gli aumenti dei listini. In diverse
occasioni Lei ha affermato che i prezzi dei beni di
consumo, nell'ultimo decennio, sono aumentati la metà
rispetto al tasso di inflazione. Però, in questi primi
mesi, ci sono stati diversi aumenti dei listini e, forse,
altri ne arriveranno per la crisi internazionale.

Confermo che, nel decennio passato, i prezzi dei
prodotti di largo consumo sono aumentati del 6,5%
a fronte del 13% dell'indice Istat. Abbiamo avuto
un ruolo virtuoso, perché la forte concorrenza
presente nel settore mette al riparo il consumatore
da aumenti abnormi e indebiti. Questo effetto
della competizione si fa sempre sentire ogni volta
che un'azienda deve mettere mano ai listini, per
esempio per far fronte ad aumenti delle materie
prime, dell'energia, dei trasporti, degli imballaggi,
del costo del lavoro. È quel che è successo anche
nei primi mesi di quest'anno, come i giornali hanno
puntualmente registrato.

Uno dei temi caldi di oggi, su cui la gdo sta investendo
risorse, riguarda le liberalizzazioni. Siete disposti
ad allearvi?

Su questo tema l'allineamento c'è addirittura da
qualche anno, non solo con la moderna distribuzione,
ma anche con le associazioni dei consumatori.
Diciamo e chiediamo le stesse cose. Vogliamo che
la concorrenza sia introdotta nei settori non liberalizzati,
perché, essendo immuni da essa, finiscono
per pesare in modo abnorme sui bilanci delle
famiglie e per sottrarre risorse che potrebbero essere
destinate ai consumi. Un beneficio di almeno
3.600 euro a famiglia per anno, secondo un’analisi
dell’Università Bocconi per Federdistribuzione.

In questo contesto, servono ancora le supercentrali?

La nostra posizione non è cambiata. Fin dagli Anni
Novanta, quando nacque Intermedia, le consideriamo
strumenti che non contribuiscono all'efficienza
della filiera, all'innovazione distributiva e all'ammodernamento
del mercato. Il fatto che si esiga dal
fornitore l'estensione delle condizioni praticate al
retailer più efficiente ed efficace anche ad imprese
distributive che non lo sono, si commenta da sé. Le
supercentrali, purtroppo, costituiscono ancor oggi
pure aggregazioni di fatturato per spuntare condizioni
migliori di acquisto.

Lo stesso discorso vale per le supercentrali internazionali?

In questi casi, si tratta di aggregazioni più omogenee
dal punto di vista della tipologia di partecipanti.
Ma la perplessità sulla loro utilità non cambia …

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