Intervista a Neil Nugent executive chef di Waitrose

“Faccio un lavoro molto interessante e divertente:
in team con altri quattro chef
creiamo nuovi piatti, che testiamo e valutiamo
ed eventualmente inseriamo nelle diverse linee
a marchio di Waitrose. Un solo obiettivo: soddisfare
le esigenze del consumatore, unico
punto di riferimento nelle strategie della nostra
azienda”. Parole chiare, quelle di Neil Nugent,
executive chef di Waitrose, con le quali il manager
ha spiegato l'approccio del retailer inglese
verso i piatti pronti, improntato all'innovazione,
che nasce dai distributori e dove i fornitori sono,
a tutti gli effetti, partner.
Nel corso del convegno (scarica gli atti del convegno): Il gusto della sostenibilità,
consumatore e piatti pronti. Strategie e
politiche future finalizzate al miglioramento del
valore della categoria
, organizzato da Gdoweek
e Mark Up testate del Gruppo 24 Ore,
in collaborazione con Medusa (Gruppo Regnoli),
Gdoweek lo ha intervistato per capire
come l'abbinamento di creatività e focalizzazione
sul consumatore permetta il lancio di nuove
linee di Pl nel segmento dei piatti pronti. “In
quest'area, abbiamo un portafoglio ampio di
private label, destinato a crescere. -precisa
Nugent-. Del resto, i piatti pronti hanno una
quota pari al 5,3% contro il 3,9 del grocery. Per
questo, alle linee standard, tra cui Essential,
firma chiave del 2009, sono state aggiunte altre
gamme quali Menù, la nuova linea premium
appena lanciata, Heston, gamma firmata da
uno degli chef più innovativi del momento.
Inoltre, Seriously e Dutchy Originals, che propone
piatti tipici della tradizione inglese rivisti
con ingredienti bio per renderla un brand bio
premium. Al di là delle singole differenze, tutte
hanno un obiettivo comune: portare il ristorante
a casa dei consumatori, con prodotti di qualità,
sostenibili e caratterizzati da un corretto rapporto
qualità/prezzo. Del resto, agli inglesi i piatti
pronti piacciono: parliamo di un mercato che,
a livello nazionale, ha un valore di circa 1,9 miliardi
di sterline l'anno grazie alla vendita di 913
milioni di prodotti. Significa che l'89% della
popolazione compra questo genere di prodotti
perché sono buoni, di qualità, hanno un prezzo
corretto e, soprattutto di fidano di Waitrose. Il
nostro ruolo di retailer innovativi, quindi, è quello
di proporre delle soluzioni di pasto veloci,
gustose, non troppo semplici da poter essere
preparate direttamente in casa, con bassi contenuti di sale e zucchero, che possano essere consumate da tutta la famiglia insieme. Insomma, devono essere prodotti appealing in linea con le scelte e le richieste di quando si è al ristorante, ma con un occhio al portafoglio, visto la situazione economica difficile”, spiega Nugent.

Molti sforzi di Waitrose sembrerebbero indicare il desiderio di posizionarsi come insegna di riferimento di questo segmento di mercato. L'eventuale acquisizione di E.A.T. va in questo senso?

Sì e no. Sì perché siamo determinati proseguire su questa strada. No, perché non acquisiremo E.A.T: preferendo sviluppare operazioni con la firma Waitrose anche in partenership con altri retailer.

Qualche anticipazione?

Abbiamo stipulato un accordo con Boots che prevede la gestione Waitrose di tutta l'area di take-away già presente nella catena: un vantaggio per entrambi, loro category killer nel segmento drugstore-farmacie noi nel food take-away. Inoltre, sempre in quest'ottica, intendiamo rafforzare lo sviluppo del nostro format convenience di piccole dimensioni, caratterizzandolo in maniera ancora più evidente con un'ampia offerta ampia di piatti pronti.

Parliamo di come nascono i vostri nuovi piatti e menù. Qual è il processo che porta un'idea sullo scaffale?

Il processo di innovazione di Waitrose prevede che la creatività sia interna: i fornitori vengono coinvolti soltanto dopo che tutti i passi per la definizione dei prodotti e delle nuove ricette sono stati testati dalla squadra di chef interni, che definiscono tutti i parametri tenendo conto della normativa, della qualità degli ingredienti, della loro sostenibilità e delle nuove istanze dei consumatori. Solo dopo questa fase, inizia la ricerca del fornitore partner, prescelto per la sua capacità di preparare correttamente i piatti.

Quanto dura, solitamente, questo processo creativo?

Dai 6 ai 12 mesi, dall'idea del nuovo piatto fino alla sua immissione a scaffale. Al momento, stiamo lavorando a una nuova linea di prodotti salutisti, un'area destinata a diventare sempre più rilevante nei prossimi anni: lo sforzo è quello di ottenere un perfetto equilibrio tra il rispetto dei criteri nutritivi e il gusto. La ricerca e la definizione dei prodotti hanno richiesto circa 3 mesi di lavoro, più altri 6 per trovare i fornitori adatti, fare test insieme, trovare i giusti elementi: i prodotti saranno a scaffale a breve, entro la fine dell'anno.

In questo processo, quanto conta la scelta degli ingredienti? Soprattutto a chi spetta la scelta?

Gli ingredienti sono tutti prodotti nel Regno Unito e attentamente controllati: del resto, noi abbiamo relazioni dirette con allevatori che lavorano solo per noi, secondo i nostri standard, dai quali compriamo frutta, verdura, carni, sapendo che prestano grande attenzione alla sostenibilità. Così, se una verdura non può garantire una filiera sostenibile, non viene usata nelle nostre preparazioni.

Non si corre, però il rischio di perdere consumatori e vendite per mancanza di prodotto?

No. Il consumatore si fida di Waitrose e della sua qualità. Conosce bene le nostre scelte, apprezza i nostri prodotti, sa che può fidarsi. E noi vogliamo incrementare ancora di più questa fiducia. Certo, per alcuni settori può essere problematico.

Oltre a qualità e sostenibilità, anche il packaging rappresenta un elemento strategico dei vostri prodotti.

È vero. Si tratta di una sfida importante per due aspetti: da un lato, devono garantire la massima visibilità al prodotto in diversi formati; per questo, utilizziamo pack trasparenti, per sottolineare che non abbiamo niente da nascondere. Dall'altro, devono rispettare i concetti di riciclabilità, che fanno parte del nostro approccio alla sostenibilità. Sappiamo che tutte le nostre attività hanno un impatto ambientale importante e che lavorare su piccoli dettagli può fare la differenza. Infine, devono creare un forte impatto a livello di punto di vendita, come è evidente nella linea Menù, che gioca sui colori e sull'eleganza.

Quanto incidono tutti questi fattori sulla formazione del prezzo?

La sfida è quella di fornire la migliore qualità a un prezzo competitivo, ma non il meno caro.

Quali sono le cucine da cui traete maggiori spunti per la creazione dei vostri pronti pronti?

Accanto alle preparazioni di piatti tradizionali inglesi, che rappresentano il 32% della nostra offerta, due cucine importanti da cui traiamo ispirazione sono quella indiana, che ha un peso del 22%, e quella italiana, che ha un'incidenza del 19%. In questo caso, una delle proposte di maggiore successo è rappresentata dalle lasagne, che hanno una quota del 6%, per un valore di 141 milioni di sterline e delle quali offriamo sette diverse varietà. Una conferma del favore che incontra la vostra cucina presso i nostri consumatori.

Quali altri piatti della tradizione italiana proponete?
Soprattutto primi piatti, tra cui linguine e gnocchi, ma anche qualche secondo, come l'osso buco, anche se riadattato ai gusti nazionali, secondo uno stile anglo-italiano.

Le prossime sfide che intendete affrontare nell'ambito delle private label?

L'area della salute rappresenta una sfida che offre diverse opportunità. Siamo consapevoli della sempre maggiore diffusione di problemi come l'obesità e per questo vogliamo creare prodotti che mantengano la loro attrattività a livello di ricettazione e sapore, ma siano più naturali e caratterizzati da minori contenuti di sale, zucchero e grassi, con un apporto corretto di proteine e carboidrati.

State pensando anche a linee specifiche per bambini?

Non è una priorità, la realizzazione di una linea specifica, perché crediamo che sia importante proporre prodotti che possano essere consumati da tutta la famiglia insieme, a meno che non ci siano problemi specifici. Inoltre, si tratta di un mercato molto complesso anche dal punto di vista normativo e dei controlli e pensiamo sia più corretto lavorare sulla riduzione di alcuni ingredienti per contribuire alla diffusione di una sana alimentazione.

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