Trend grocery 2022, come navigare controvento

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Tendenze, ipotesi, priorità e strade da percorrere, secondo lo studio McKinsey e Eurocommerce sullo "Stato di salute del grocery". Quali decisioni devono prendere retailer e idm (Coverstory gdoweek 9 2022)

Già sul finire dello scorso anno i retailer alimentari si aspettavano un peggioramento del mercato per il 2022, ma il persistere di tassi d’inflazione elevati e l’invasione dell’Ucraina hanno peggiorato sensibilmente lo scenario. Al di là della congiuntura, gli operatori devono prepararsi a fare i conti con un aumento della pressione sui margini per i prossimi anni e con esigenze crescenti da parte dei consumatori: di fatto, dovranno cercare nuove fonti di profitto sia all’interno del proprio core business, facendo leva sulle potenzialità delle nuove tecnologie, sia cercando spazi in settori limitrofi.

Si può sintetizzare così quanto emerge dal report State of Grocery Retail a cura di McKinsey & Company ed Eurocommerce, uno studio che ha come sottotitolo 2022 Navigating the market headwinds a indicare la complessità di veleggiare controvento, analizza le tendenze chiave del grocery, anche nella prospettiva di lungo periodo, basandosi su interviste esclusive a 60 ceo del settore alimentare europeo e su un sondaggio di oltre 12mila consumatori in nove Paesi del Vecchio Continente.

I dieci trend che caratterizzeranno il 2022 secondo i ceo del settore

1 - Calo dei volumi di vendita in seguito al ritorno agli spostamenti

2 - Inflazione elevata persistente

3 - Rallentamento della crescita delle vendite online

4 - Maggiore sensibilità dei consumatori al fattore prezzo

5 - Richiesta di qualità anche per i prodotti entry-level in termini di prezzo

6 - Crescente attenzione ai temi della sostenibilità e della salute

7 - Crescita della domanda verso i prodotti del segmento premium

8 - Nuovi flussi di ricavi, da ricercare dentro e fuori il business tradizionale

9 - Maggiore focalizzazione su personalizzazione dell’offerta

10 - Cambiamenti nell’organizzazione delle risorse umane

Fonte: Mckinsey-Eurocommerce “State of grocery Retail”

Partiamo dallo scenario macroeconomico

Come detto anche in altre occasioni, tra il 2020 e il 2021, le vendite di super, ipermercati e altri format hanno raggiunto i massimi storici, per le restrizioni agli spostamenti dovute alla pandemia di Covid-19, che hanno spinto i consumatori verso queste tipologie di negozi. Una tendenza che ha cominciato ad affievolirsi con l’avanzare della campagna vaccinale e la diffusione della variante Omnicron. Già a fine 2021 gli operatori segnalavano un deterioramento della situazione, più accentuato nei Paesi dell’Europa meridionale (soprattutto Italia e Portogallo) e dell’area centrale (su tutti la Polonia), complice il rallentamento dell’online; Germania, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito hanno, invece, continuato a crescere a ritmi sostenuti. In questo contesto, i retailer hanno continuato a espandere le loro reti di negozi, aumentando, di fatto, gli spazi di vendita disponibili. L’effetto è stata una crescita degli spazi dell’1,6% nel 2021 rispetto al 2020, con i discount a trainare il mercato (+4%).

Di pari passo nel Vecchio Continente si è verificato il decollo dei dark store, con i primi quindici player europei che hanno aperto oltre 800 negozi di questo tipo nell’anno. Allo stesso tempo, molti negozi alimentari tradizionali hanno stretto partnership con società di consegne istantanee per estendere la loro offerta oltre i negozi fisici. Siamo di fronte a un nuovo trend in grado di mutare il mercato? Sul punto l’analisi di McKinsey sospende il giudizio, segnalando che si tratta ancora di un segmento di nicchia, nella maggior parte dei casi non ancora redditizio. Secondo le stime della società di consulenza, il mercato delle consegne istantanee in Europa ha raggiunto tra i 3 e i 6 miliardi di euro nel 2021, rappresentando meno dell’1% del mercato totale, ma con una crescita percentuale annuale di tre cifre.

Quali le prospettive nel grocery 2022?

Ipotesi di evoluzione dello scenario

+1,6%

Andamento degli spazi vendita disponibili tra
il 2020 e il 2021

60%

Gli intervistati che stimano un peggioramento delle condizioni di mercato

2,9%

L’incidenza delle vendite online tra i grocery retailer italiani nel 2021

5-7%

Il potenziale di crescita delle vendite online in Italia entro il 2030

39%

La quota di ceo europei che considera l’attrazione dei talenti tra le sfide più importanti dei prossimi anni

3-5 anni

L’arco di tempo entro il quale gli operatori dovranno riqualificare il personale per rispondere alle nuove esigenze della domanda

8%

La quota di ricavi che i top retailer statunitensi ottengono dai media network

Intervistati sul finire del 2021, i ceo del settore si sono mostrati prudenti: il 60% ha stimato un peggioramento delle condizioni di mercato (14% in più rispetto all’indagine di un anno fa) per i trimestri a venire, il 23% si è espresso in direzione di uno scenario stazionario (-6% rispetto alla survey 2021) e solo il 17% si è dichiarato ottimista (-8%). Quanto alle ragioni dei pessimisti, al primo posto viene indicata la concorrenza derivante dalla riapertura dei ristoranti (fenomeno inevitabile), seguita dalla crescente attenzione ai prezzi per il rallentamento della crescita economica e dal persistere di un tasso d’inflazione elevato, anche se –stando alle parole dei banchieri centrali– dovremmo essere vicini al picco, con una situazione destinata progressivamente a rientrare. Il tutto accompagnato da uno scenario caratterizzato dalla pressione per gli aumenti salariali, dalla carenza di manodopera, dai problemi nella catena di approvvigionamento e da nuove normative restrittive in alcuni Paesi del Vecchio Continente.

Per i grocery retailer, l’inflazione ha due effetti principali: l’aumento dei costi (relativi all’approvvigionamento delle merci, alla bolletta energetica e al trasporto) e la riduzione del reddito disponibile dei consumatori. “Nel 2008, l’inflazione moderata dei prezzi dei generi alimentari ebbe scarsi effetti sulla redditività perché i retailer erano stati in grado di trasferire parte dell’aumento dei prezzi dai fornitori ai consumatori”, segnala lo studio. Al contrario, l’inflazione nel 2011 e nel 2012 portò a una lieve riduzione dei margini. Questa volta, la maggiore sensibilità al prezzo tra i consumatori a basso reddito, unita alla diminuzione dei volumi complessivi e ai mercati competitivi, potrebbe rendere più difficile per le aziende trasferire gli aumenti di prezzo. Per evitare ulteriori perdite di volume, alcuni retailer potrebbero decidere di ritardare parte degli aumenti di prezzo, con conseguente riduzione dei margini, almeno temporaneamente”.

Il punto più debole riguarda la domanda. Gli analisti ricordano che il carovita riduce la disponibilità di portafoglio e nemmeno un aumento dei salari sarebbe risolutivo, dato che spingerebbe ulteriormente in alto i prezzi. “Se l’inflazione rimane alta, è probabile che i consumatori continueranno a scegliere prodotti più economici e a cercare attivamente promozioni. Abbiamo visto alcuni dei primi effetti nel quarto trimestre del 2021. I discount e i retailer con offerte di private label entry-level competitive sono nella posizione migliore per soddisfare queste mutate esigenze dei clienti”.

Le preferenze dei consumatori

La ricerca indica che le preferenze dei consumatori nei mesi a venire continueranno a polarizzarsi in base al reddito e non solo. “La nostra ricerca indica che le preferenze dei consumatori si diversificheranno ulteriormente, in base al reddito, all’età e alle dimensioni del nucleo familiare -sottolinea Marco Catena, partner di McKinsey-. Da un lato, ci sarà un’accelerazione nella domanda di prodotti sani, sostenibili e premium, alimentata dai consumatori ad alto reddito, dalle nuove generazioni (soprattutto Gen Z) e dai nuclei familiari più numerosi (composti da più di tre persone). Allo stesso tempo, anche la quota di consumatori che desidera risparmiare e passare a beni alimentari più economici è aumentata rispetto al 2021; un trend guidato per lo più da consumatori che dispongono di un minor poter d’acquisto.”

Una possibile soluzione potrebbe consistere nel ridimensionamento del segmento centrale degli assortimenti, rafforzando le offerte entry-price e premium, che dovranno essere adattate alle esigenze specifiche del bacino d’utenza di riferimento.

Anche la quota di consumatori che prevede di risparmiare di più sul cibo e di passare a prodotti più economici è aumentata notevolmente rispetto all’indagine del 2021. “I consumatori a basso reddito sono la forza trainante di questo aumento”, si legge ancora.

Per McKinsey, i negozi alimentari potrebbero prendere in considerazione la possibilità di ridurre drasticamente i loro assortimenti (circa della metà) e rafforzare le offerte sia a prezzo di entrata sia l’assortimento premium. Adeguare l’assortimento alle esigenze specifiche del bacino di utenza di un negozio diventerà più importante.

Un altro elemento di preoccupazione è il rallentamento della crescita del canale online, evidente soprattutto nei mercati che hanno un’offerta meno sviluppata. Anche se nel medio termine il ritmo di crescita è destinato a riprendersi per arrivare al 20% del totale nel 2030 in uno scenario intermedio, pur con sensibili differenze tra i vari mercati: il Regno Unito potrebbe arrivare tra il 19% e il 23%, la Svezia tra il 12% e il 15%, mentre l’Italia, che parte dal 2,9% del 2021, alla fine della decade dovrebbe arrivare tra il 5 e il 7%.

“Va comunque segnalato che in Italia potrebbero esserci differenze significative tra le varie regioni o anche tra i centri urbani più grandi e il resto del Paese -segnala Gemma D’Auria, senior partner di McKinsey-. I dati a livello nazionale non evidenziano queste sfumature che, invece, sono importanti” .

Come sottolineano gli autori dello studio, i risultati non dipenderanno solo dalla dinamica della domanda, ma anche dalla capacità dell’offerta di evolvere e segmentarsi in base alle esigenze di consumo. “Il segmento più interessante è quello dell’instant delivery, che potrà crescere se riuscirà a velocizzare ulteriormente le tempistiche di consegna, offrendo allo stesso tempo prezzi ragionevoli -ricorda Catena-. Circa un terzo degli acquirenti online frequenti (ovvero quelli che fanno acquisti online almeno una volta alla settimana) ordina regolarmente da tre o più e-grocery, per cui le politiche di fidelizzazione hanno spazi limitati”.

Più spesso i consumatori fanno acquisti online, più negozi food online usano. Questo significa che ci sono buone probabilità che con la maturazione del mercato online, diversi formati online e proposte di valore coesisteranno e competeranno per panieri dei clienti”.

Le ricette possibili

Con i margini destinati a restare sotto pressione, molti retailer sono alla ricerca di nuovi fonti di profitti, in primo luogo all’interno dei rispettivi core business, facendo leva principalmente sulle advanced analytics e sull’intelligenza artificiale, in particolare per quanto riguarda assortimento, prezzo e promozioni. Altri operatori preferiscono, invece, cercare fonti di guadagno altrove. I recenti progressi nel campo delle offerte personalizzate e dell’assortimento localizzato e specifico per negozio potrebbero portare una nuova ondata di valore in grado di migliorare vendite e redditività.

Quanto ai nuovi flussi di entrate oltre il perimetro tradizionale, gli autori dello studio segnalano la crescita dell’offerta di prodotti salutistici oppure il business legato alla vendita di spazi pubblicitari ad agenzie di stampa. Attività derivate dal considerare lo store un media a tutti gli effetti.

Un buon potenziale è individuato anche nelle carte fedeltà, i cui dati possono essere monetizzati. Ad esempio, i principali attori retail statunitensi ottengono fino all’8% delle loro vendite online attraverso i media network al dettaglio, con margini superiori al 50%.

Tirando le file del discorso, “il contesto di mercato nei prossimi 12-18 mesi potrebbe essere difficile”, avverte Mckinsey. Per “scollinare” occorre che i retailer siano pronti a “intraprendere azioni audaci e investire in aree chiave come online, nuove fonti di profitti, analisi dei dati, sostenibilità e persone”.

Sebbene la ricetta alla base di queste azioni non sia completamente nuova, la sua complessità aumenta con richieste divergenti da parte dei clienti a basso e alto reddito e offerte più differenziate nel mercato online. “Sarà fondamentale rafforzare la segmentazione dell’offerta e personalizzare le promozioni”.

Il punto di vista di un retailer: Coop

Albino Russo CoopOpinioni condivise anche da manager italiani, come Albino Russo, direttore generale di Ancc-Coop. “Il combinato disposto tra uscita dalla pandemia, inflazione e crisi del potere d’acquisto dovuti al conflitto bellico costituisce una tempesta perfetta per la profittabilità (non solo ma soprattutto) delle imprese distributive. E non parliamo di una situazione che si scioglie in poche settimane o qualche mese ma di un cambiamento radicale che avrà effetti di lungo termine -sottolinea Russo-. Le imprese distributive hanno compreso questa nuova dimensione strutturale e dovranno presto prepararsi a cambiare in profondità il loro business model. È forse ancora troppo presto per stabilire la direzione in cui si muoveranno, ma alcune direttrici si possono forse già individuare”.

L’ottimizzazione dei costi operativi (a partire da quelli energetici) era già una priorità negli anni passati, anche per la forte spinta competitiva dei discount; a maggior ragione lo è oggi. “La razionalizzazione della rete di vendita verso i formati maggiormente performanti e coerenti con i nuovi stili di vita e le esigenze quotidiane dei consumatori; un lavoro più attento sugli assortimenti per recuperare sinergie con i produttori e offrire un servizio meno dispersivo ai clienti; una nuova attenzione sulla mdd come strumento non solo di presidio del mercato, ma anche della capacità di governo ed efficientamento delle filiere: questi i temi nevralgici su cui i retailer devono indirizzare le proprie strategie ed energie secondo Russo.

Per il manager, in tema sia di mdd sia di prodotti di marca c’è anche il rischio di un depauperamento del capitale di qualità del nostro sistema alimentare. “Infatti, se l’azione di efficientamento si spingesse fino a peggiorare la qualità dei fattori produttivi impiegati (le materie prime, gli stabilimenti, gli stessi lavoratori), si rischierebbe non solo di compromettere la qualità dei prodotti venduti, ma anche di mandare in sofferenza le filiere del made in Italy, a volte meno convenienti di quelle estere o, ancora, di scendere a compromessi con gli impegni sulla sostenibilità sociale e ambientale sin qui assunti”. Quindi assicura: “Come Coop ci batteremo perché questo non accada”.

Ipotesi di evoluzione dello scenario La guerra complica lo scenario

Le interviste ai ceo sono state condotte prima che scoppiasse la guerra in Ucraina, ma, sondando il sentiment delle ultime settimane, gli analisti si attendono un sensibile peggioramento dello scenario, anche se l’impatto dipenderà dalla durata del conflitto e dalla sua intensità. “È ancora presto per poter definire quale sarà l’impatto sul settore del grocery retail -analizza Gemma D’Auria, Senior Partner McKinsey & Company-. Probabilmente le nuove tensioni geopolitiche accelereranno le tendenze identificate nel report e accresceranno la sensibilità al prezzo da parte dei consumatori”. Una tendenza, che complicherà l’orizzonte per i retailer food. Molto dipenderà dall’impatto del conflitto sulle catene internazionali di approvvigionamento già messe a dura prova sin dall’avvio della ripresa economica. “Dare una dimensione economica all’impatto della guerra è molto difficile da valutare (come è difficile valutare lo scenario), ma è opinione diffusa nella business community che gli effetti della guerra potranno essere superiori al rientro dalla pandemia”, commenta in merito Albino Russo, Ancc Coop.

L’incertezza fa male al business

“I contratti della gdo si chiudono di solito nei primi mesi dell’anno, ma in questo periodo di dinamiche imprevedibili, è capitato che alcuni fornitori, anche dopo la chiusura contratto, ci abbiano chiesto di riaprire i listini. Ad oggi non abbiamo ancora una idea concreta di quanto ci costerà comprare la merce nel 2022. Crediamo che, con sempre più difficoltà, riusciremo a mantenere condizioni tali da non riversare al consumatore anche solo una parte di queste variazioni. Ciononostante, le migliori stime ci dicono che tra l’inflazione all’acquisto e quella alla vendita ci potrebbero essere tra i due e i quattro punti percentuali, a svantaggio dei margini della distribuzione. Ma l’outlook appare negativo e ogni settimana che passa questa forbice tende ad allargarsi”.
Albino Russo, dg di Ancc Coop

La sfida dei talenti

Il “people management” è diventato un elemento di preoccupazione. Il 39% dei ceo intervistati considera l’attrazione dei talenti tra le sfide più importanti dei prossimi anni, non solo per assicurare il normale turnover, ma anche per l’importanza crescente riconosciuta ad abilità socio-emotive e analitiche, di cui c’è carenza oggi. Il fenomeno della great resignation, che vede le persone lasciare il proprio posto di lavoro per il disagio nel trovare un bilanciamento tra impegni aziendali e familiari, rischia di impoverire le competenze di molte aziende. Invertire il trend è tutt’altro che facile. “Per restare competitivi, i retailer potrebbero dover adattare i propri modelli di gestione del personale, così da identificare e gestire le competenze necessarie su un arco di tre-cinque anni, offrendo solidi programmi di reskilling”, sottolinea lo studio.

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