Perché il reso non è mai gratuito

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L'evoluzione del sistema dei resi gratuiti, tipici dell’eCommerce non food: uno studio ad hoc di Sendcloud, azienda olandese che fornisce servizi per chi si occupa di online. Il caso di Zara

 

“I pasti gratis non esistono”, sentenziava Milton Friedman, economista di riferimento del liberismo, e il concetto vale anche per il sistema dei cosiddetti “resi gratuiti” tanto in voga nell’e-commerce. Ad analizzarne il funzionamento è Rob van den Heuvel, ceo e co-founder di Sendcloud (azienda olandese che fornisce servizi per le spedizioni per gli eCommerce).

Il grande equivoco

L’analisi, che Gdoweek pubblica in esclusiva per l’Italia, parla di questo meccanismo come “il più grande equivoco nella storia degli eCommerce. Anche se la formula può sembrare attraente, i resi non siano mai gratuiti: proprio come costa denaro spedire un pacco da A a B, costa anche rimandare la spedizione al mittente - segnala l’esperto -. Il fatto che spesso i consumatori non sostengano questi costi da soli non significa che gli oneri non esistano. Spetta infatti ai rivenditori pagare il conto salato di questa pratica”.

Evoluzione in atto

Per molto tempo i rivenditori si sono fatti carico dei costi di restituzione: gli acquisti online non erano molto comuni e i retailer volevano incoraggiare le persone ad accedervi nel modo più semplice possibile. Offrendo questa opzione, piattaforme emergenti come Zalando e Amazon hanno guadagnato enormi quote di mercato. “Grazie alle loro economie di scala, inoltre, questi giganti dell'eCommerce sono stati in grado di ridurre al minimo i costi logistici per pacco, rendendo molto più difficile per i piccoli commercianti competere”, ricorda den Heuvel.

Ma ora la tendenza sta cambiando. Il recente annuncio di Zara di iniziare a far pagare i clienti per i resi potrebbe infatti comportare un effetto domino tra i rivenditori, anche se non sarà facile far passare il cambio di rotta a consumatori abituati a ottenere gratis questo servizio.

I costi reali

Infatti, ricorda l’esperto, molti consumatori hanno perso di vista il fatto che esiste una notevole quantità di tempo e denaro celata dietro l'intero processo di spedizione e restituzione. Dal costo dell'imballaggio e del dipendente addetto a impacchettare la consegna, fino al fattorino.

Secondo una ricerca di Sendcloud in collaborazione con Nielsen, l'86% degli acquirenti online italiani restituisce regolarmente un prodotto se non è soddisfatto e un altro 55% dichiara di considerare il reso è una grande seccatura.

Non si torna indietro

Ci sono tre ragioni per cui non sembrano esservi le condizioni per lasciare a metà strada questo cambiamento. In primo luogo, il rovescio della medaglia dei resi gratuiti è che incoraggiano i consumatori a utilizzarli esponenzialmente.

C’è poi il tema della scarsa consapevolezza. Quando si sommano tutti i costi associati a una restituzione, un rivenditore perde in media 12,50 euro. “L’implementazione di una piccola commissione di restituzione può indurre i consumatori a ripensare il loro vorace comportamento di restituzione”.

Infine c’è la questione della sostenibilità. “Gli articoli restituiti percorrono mediamente una distanza raddoppiata e vengono (ri)imballati almeno due volte: un processo costoso che nuoce soprattutto all'ambiente e alle sue risorse”.

In conclusione, per van den Heuvel è tempo di cambiare rotta. “I resi a pagamento non costituiscono solo un passo importante nella riduzione dei costi logistici, ma offrono anche l'opportunità all'intero settore dell'eCommerce di valutare in modo critico il nostro futuro comportamento di restituzione”.

 

 

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