La distribuzione commerciale in Italia è più spesso ricordata come responsabile degli incrementi dei prezzi dei beni di consumo piuttosto che come settore produttivo con un suo autonomo significato all'interno del sistema economico. Sono i servizi a essere considerati ancillari rispetto all'industria. All'interno dei servizi, la socio-cultura economica prevalente nel nostro paese considera il trade come sostanzialmente inutile. Un male necessario, mai protagonista del processo di creazione di ricchezza.
La "badante" dei commercianti
Apertura eccessivamente polemica? Consideriamo qualche fatto.
1) Il nostro è l'unico paese che ha la badante dei commercianti: il Garante per la sorveglianza dei prezzi. La Svizzera ha Mister Prezzi perché ha una diversa distribuzione dei poteri tra authority e quindi a tale soggetto è affidato il compito che da noi spetta all'Antitrust. Quando, all'epoca dell'istituzione di questo garante in Italia, un giornalista andò a intervistare quello svizzero, questi con grande chiarezza rispose che si occupava di prezzi della distribuzione dell'acqua, pedaggi autostradali, tariffe elettriche. Si tratta di monopoli naturali che, quindi, necessitano di regolamentazione. Non immagino la reazione dei cittadini svizzeri se il loro garante si occupasse del sistema di pricing dei negozi grandi o piccini della Confederazione.
2) Gli economisti sono concordi nel definire priva di logica l'iniziativa italiana. Nessuno lo dice, però. Difendere l'autonomia dell'unico settore completamente liberalizzato, appunto il commercio, non porta alcun vantaggio.
3) Sono divenute frequenti le incursioni del legislatore nei meccanismi di contrattazione tra fornitori e distributori, soprattutto se grandi. Sorprese negative sono sempre possibili su tale fronte e sarà meglio prestarvi attenzione.
4) I nostri politici non brillano per capacità di analisi economico-industriale eppure con straordinario e praticamente unico intuito bipartisan hanno scoperto che la filiera agroalimentare in Italia è lunga e questo genera inefficienze e speculazioni. Sono quasi certo di non avere mai sentito pronunciare, prima di qualche settimana fa, la parola “filiera” da coloro che sono oggi le maggiori cariche dello Stato.
5) Il termine speculazione vorrebbe indicare, secondo le intenzioni di chi denuncia piccoli e grandi distributori commerciali, un comportamento scorretto o addirittura illecito da parte di tali agenti economici. Il codice penale agli articoli 501 e 501bis chiarisce la questione: la speculazione si ha quando si attuano comportamenti che determinano la rarefazione sul mercato delle merci in attesa che, in conseguenza dell'illecito accaparramento, tali beni ottengano quotazioni più elevate. C'è speculazione se si nasconde la merce. Ma nessuno di quelli che utilizzano tale termine pensa correttamente alla fattispecie giuridica sopra ricordata. La differenza è rilevante.
6) È proprio la sfiducia nel mercato che genera l'ossessione contro la distribuzione commerciale. I fautori dei controlli e della regolamentazione anche dove non c'è bisogno si rifugiano in un altro equivoco, relativo alla cosiddetta moral suasion. L'idea di moral suasion nasce come schema economico nel quale una banca centrale coopera con le banche commerciali al fine di ottenere comportamenti coerenti con i propri obiettivi. Nel caso di contesti concorrenziali, popolati da una pluralità indistinta di soggetti senza specifici poteri, il meccanismo è logicamente ininfluente in quanto la suasion è già implicita nei meccanismi di mercato (provi a vendere a prezzi troppo elevati? Butti la merce e perdi i ricavi: questo convincerà l'operatore).
Un problema culturale
La conclusione è amara. Forse il modello di liberalizzazione in un solo settore non funziona: così, invece di essere portata a esempio virtuoso, la distribuzione commerciale è oggetto di attacchi continui da tutte le parti. La sua debolezza sta in un deficit culturale che non riusciamo a colmare in Italia. Ingenuamente si tende a pensare che le disfunzioni del sistema economico si generino e si debbano curare presso l'ultimo anello della filiera, appunto quello della delivery al consumatore finale. Questo semplicemente perché è l'anello visibile.
Investire per ribaltare la cultura dominante
• La distribuzione commerciale italiana si preoccupa in primis di innovare.
• Crea, poi, relazioni con il cliente mettendolo al centro del processo di creazione di valore.
• Investe in capitale umano e fisico.
• Accresce ulteriormente il grado di competizione tra formati, insegne, categorie.
• Accanto a tutto ciò, però, bisognerebbe pensare anche a investire energie e risorse per mutare i rapporti di forza nella rappresentanza degli interessi presso le sedi istituzionali.
• Per promuovere e governare un radicale cambiamento culturale presso i naturali interlocutori.