Chi vende in Cina deve tutelare il marchio

Un simbolo o un segno grafico è passibile di registrazione se è distintivo, distinguibile e lecito (cioè non depositato precedentemente e consentito dalla legge cinese sui marchi). L'esperienza delle società che da tempo operano in questo territorio dimostra che, prima di effettuare qualsiasi operazione commerciale in Cina, è utile provvedere alla registrazione del marchio.

La tempestività è molto importante: ricordiamo che nel paese del dragone vige il principio della priorità di registrazione. Questo principio rende proprietario dei diritti il soggetto che per primo deposita un marchio. Qualora si verifichi ciò, il “legittimo” proprietario, oltre a rischiare di subire l'utilizzo del marchio da parte di terzi, non potrà nemmeno commercializzare sul territorio cinese i propri prodotti poiché cadrebbe in violazione di diritti. In Cina si segnalano diversi casi in cui soggetti terzi registrano marchi a scopo di estorsione: una volta acquisita la titolarità di un marchio altrui cercano di venderlo (tipicamente a prezzi molto elevati) al legittimo titolare.

Le assonanze
Un aspetto importante è quello della “versione cinese” del marchio, con cui s'intende la sua traduzione nella lingua locale: questa pratica non è richiesta dalla legge della Repubblica Popolare Cinese, ma è consigliabile dal punto di vista legale e commerciale. La mancata registrazione della versione cinese del marchio può comportare i medesimi problemi derivanti dalla mancata registrazione di quello originale: anche in questo caso verrebbe meno la tutela giuridica. Inoltre, qualora l'azienda straniera non proponesse al mercato una versione cinese del proprio marchio, sarebbero i consumatori stessi a farlo, da soli, sulla base della somiglianza fonetica; l'assonanza trovata, però, spesso si allontana dal significato del prodotto o può addirittura fornire una risonanza negativa. Un esempio è offerto dal famoso profumo Poison che rischiava di essere tradotto con Duyao (veleno).

Comunicazione parallela
Cosa deve sapere dunque un'azienda per poter pensare alla versione cinese del proprio marchio? Innanzi tutto, che la lingua cinese è una lingua a ideogrammi, cioè simboli che, oltre a essere parola, sono anche rappresentazione grafica di un'idea o di un concetto. Ancor più dell'alfabeto, quindi, si prestano a una funzione di comunicazione parallela, nel senso che trasmettono un messaggio esplicito, dato dalla parola, e uno implicito, dato dalle associazioni di significato evocate dai segni.

Con la traduzione del proprio marchio in cinese non si deve solamente affermare qualcosa, ma creare anche espressioni in grado di suggerire ed evocare associazioni mentali funzionali alla vendita e alla diffusione del prodotto. Un'altra componente fondamentale di ogni lingua è la fonetica. È possibile scegliere il nome di un marchio prediligendo il rispetto della sonorità piuttosto che del contenuto. L'alternativa (più efficace) è ricercare un compromesso tra sonorità e contenuto attraverso la scelta (non sempre possibile) di ideogrammi che permettano di mantenere affinità sonora e semantica con il nome originale. Alcuni esempi di questa soluzione: Coca-Cola con l'attuale traduzione in cinese Kekou-Kele (delizioso), Mercedes-Benz che ha tradotto il nome Benz con Benchi (veloce), Lego con Legao (divertimento superiore), Singer con Shengjia (famiglia vincente), Carrefour con Jialefu (casa felice).

*Università di Udine

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome