Come costruire un marchio vincente

Reputazione. Un termine desueto, che parla invece di futuro. Per essere brand, di distribuzione o di prodotto, è la reputazione che conta. La nuova definizione viene da lontano. È il punto di vista del consumatore, della gente. Fuori dagli schemi accademici o dai libri di marketing. Legata al sentire, al sentirsi bene e in sintonia, più che al ritrovarsi solo su elementi materiali.

Differenti, ma vincenti
Nel fashion tutto ciò è molto chiaro. Zara, Zegna, Gucci: tre reputazioni differenti. Tutte vincenti, ma fortemente differenziate. Le leve di marketing tradizionali non bastano: campagne marketing, investimenti, market research rimangono certamente attività fondamentali. Ma sono sempre più strumentali all'unico obiettivo: il cliente. E il cliente cambia, non è più segmentato, ma frammentato. Non viene più profilato da definizioni ex ante, ma da comportamenti correlabili spesso solo ex post. Lo stesso avviene nella grande distribuzione. Tre esempi. Esselunga, Coop, Carrefour. Non sono diversi solo il layout, la gamma prodotti, il prezzo, i servizi. Cambia tra i marchi-insegna qualcosa di più profondo, difficilmente codificabile a priori, ma facilmente percepibile dalle antenne della gente. Essere reputati affidabili, seri, o, all'opposto, non credibili. Avere una reputazione. Difendere una reputazione. Si ricrea il legame tra fatto economico e natura umana. Ma se la reputazione è il sogno delle aziende, è anche il loro incubo. Perché non è pianificabile. È come l'acqua, che si diffonde e, iniziata una discesa, non la fermi.

Il motore di sviluppo
Nelle reti distributive la reputation diventa motore di sviluppo ancora più potente in quanto legata a un ambiente e a un luogo. Il nuovo marketing della distribuzione va oltre i modelli formali e fisici. Spazia sul sentire. Che resta un terreno minato, ma forse il più fertile del futuro. Fuori da schemi rigidi. Luogo di ascolto e di relazione, spazio di coinvolgimento, più che di convincimento. Con analogie con il mondo del web 2.0: la reputazione di un sito fa il suo successo, va costruito con tenacia, guardando al dentro, più che al fuori, insieme come un blog.

Le 5 parole chiave del processo
Come costruirsi la propria reputazione? Difficile farlo a priori, più facile vederlo ex post. I casi di “excellent reputation” sono basati su processi anomali, ma che, visti dall'alto, hanno punti di snodo spesso simili, sintetizzabili in 5 key word.

• Punto di vista. Avere un proprio punto di vista. Personale. Il mio punto di vista: non tanto del business, ma della vita e del mondo. Chiaro, comunicato nei fatti, non mediante proclami o mission astratte. Alcuni esempi: Diesel, Lego, Amazon, Gucci.

• Approccio.
Mai aggressivo. La gente si riconosce e mi cerca. Tramontano le politiche push anni '70, si afferma il passaparola - word of mouth - per dilagare oltre i confini immaginati. Esempi: Flicker, Asmallworld, Linkedin, ma anche Apple o Abercrombie&Fitch.

• Fiducia. La reputazione è delicata come un guscio d'uovo: non regge a furbizie. Si costruisce sulla capacità di generare fiducia, di non disattendere mai promesse o aspettative. Di accogliere. Per le aziende come per le persone. Esempi: Apple, Ikea.

• Coerenza. La reputazione è un percorso. L'attenzione ai dettagli, quasi un fatto artistico, un impegno che diventa business. O viceversa. Esempi: Media World, Gap, Unilever-Dove.

• Vantaggi. Il condividere lo stesso punto di vista porta vantaggi. Crea appagamento, ritrovamento, solidarietà. Un vantaggio ben superiore ai vantaggi economici. E, per questo, più profondo e duraturo. Esempi: tutti noi (quando ci ritroviamo in un brand).

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