Editoriale | Quanto vale la fiducia di un cliente? Per alcuni solo pochi grammi

    Shrinkflation nasce dall’unione di due termini inglesi, ovvero “shrinkage” (“contrazione”) e “inflation” (“rincaro”), sinteticamente parliamo di “sgrammature”.
    Secondo i dati Istat, riportati dall’Unione Nazionale Consumatori: “Dal 2012 al 2017, i casi registrati in mercati, rivendite e supermercati sono stati 7.306. Nello stesso periodo, di 4.983 prodotti è stato modificato non solo il confezionamento ma anche il prezzo.

    Le classi di prodotto interessate dal fenomeno della ‘shrinkflation’ sono in totale 11. I picchi si registrano nel settore merceologico di zuccheri, dolciumi, confetture, cioccolato, miele (in 613 casi diminuzione della quantità e aumento del prezzo) e in quello del pane e dei cereali (788 casi in cui, però, si è riscontrata solo una riduzione delle confezioni). Bibite, succhi di frutta, latte, formaggi, creme e lozioni sono le altre categorie di prodotti a cui è bene prestare particolare attenzione”. Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, ha portato la cosa all’attenzione del Senato, proponendo di attivare una Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della sgrammatura.

    Una pratica commerciale scorretta, una “furbata” di bassa lega, che sbeffeggia il consumatore, erodendo anche valori che dovrebbero essere importanti per gdo e brand: fiducia e fedeltà. Come è pensabile di mettere a rischio un legame di così difficile conquista? Eppure togli un po’ qui e un po’ lì, i risparmi non sono così risibili per chi produce e, se questo significa non toccare i prezzi al consumo, alla fine se ne giova anche la gdo.

    Certo “sgrammare” non è illegale, se si legge bene il peso riportato sul packaging è quello effettivo, il numero di item presenti corrisponde ... ma è e rimane un attentato alla  fiducia del consumatore che, attenzione, adesso le etichette le legge! La (buona) pratica di comunicare il prezzo a dose, a porzione, come fa Unes per le capsule del caffè o per quelle del detersivo, ovvierebbe il problema almeno per le insegne. Lato brand, ricorrere alla sgrammatura oggi si può rivelare molto più pericoloso del passato, l’attenzione del consumatore è alta e la sua pazienza al limite.

    Editoriale Gdoweek n. 11, 30 giugno 2022

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