I consumatori sono sempre più insicuri

L'ondata emozionale, amplificata dai partiti politici e dai media, originata dalla sicurezza violata, ha probabilmente avuto un impatto anche sulle dinamiche di acquisto e di consumo. È difficilmente quantificabile ed esistono poche ricerche che fanno luce su questi aspetti. Cercheremo di affrontarli tentando di evitare un giudizio politico ma concentrandoci sull'impatto sociale della campagna sulla sicurezza. Una recente relazione di Claudio Bosio di GfK-Eurisko permette di andare in profondità: il sentiment del cittadino-consumatore, spiega Bosio, è influenzato in generale dalla sicurezza del paese e della zona in cui abita ma la sua sicurezza personale è influenzata anche dal posto di lavoro, dalle sue risorse finanziarie e dai prezzi dei beni che vuole acquistare. Oggi la criminalità è al primo posto sia nella spiegazione soggettiva sia oggettiva. E su questo l'influenza dei media e degli slogan politici ha avuto un importante risultato: una chiusura sociale aspra e drammatica presente in quasi tutti i segmenti della popolazione.

Sottolinea Bosio: «È necessario andare oltre un modello di sicurezza basato sulla ripetizione. È necessario fare connessioni per salti, valorizzando la discontinuità, capitalizzando, quindi, il domani e non il passato prossimo». È necessario, cioè, generare visioni socialmente condivise sul futuro piuttosto che sul passato, sull'apertura piuttosto che sulla chiusura, sulla solidarietà piuttosto che sull'io-egoismo. «Bisogna - dice ancora Bosio - andare oltre l'emergenza. Bisogna abbandonare la gestione sintomatica del problema della sicurezza e ricostruire i riferimenti del cittadino-consumatore». La sicurezza, cioè, deve passare da emergenza a progetto in un quadro positivo dove i politici dovranno essere in grado di restituire ai consumatori il potere di acquisto e gli strumenti per dominare i prezzi e le loro variazioni impreviste e repentine.

Insicurezza da abbondanza
Il Cermes dell'Università Bocconi tira le somme dei comportamenti di acquisto in modo lapidario. Dicono i ricercatori: «In media sono 30 i prodotti presenti nel carrello della spesa; il numero di prodotti acquistati annualmente dalle famiglie sono 400. Sempre mediamente un buon supermercato tratta 8.000 referenze. Ma, ahimè, sono circa 500.000 le referenze presenti sul mercato». Tradotto in comune sentire: acquistare è difficile soprattutto se si pensa che si impiegano (sempre mediamente) 40 secondi per scegliere un prodotto. Ma c'è dell'altro: un terzo degli italiani cambia punto di vendita per risparmiare. Lo fa in modo razionale, certamente, perché va a caccia di promozioni brandendo il volantino come fosse la lista della spesa. Ogni marketing manager, ogni buyer devono saperselo chiedere: come fa il cliente a scegliere negli attuali assortimenti stracolmi di tutto e il contrario di tutto, con scale prezzo inesistenti o quasi piatte, con una politica di pricing incomprensibile, con dei display confusi e che sembrano essere costruiti appositamente per non far confrontare i prodotti?

In momenti di crisi come questi che stiamo vivendo, in questo marasma di moltiplicazione dell'offerta in ogni luogo e in ogni tempo, dove un conto è acquistare e un altro è consumare, Mark Up crede che il consumatore si senta sempre più frustrato e insicuro di qualche anno fa. L'insicurezza nasce dalla vastità generale degli assortimenti e dalla frammentazione diversa da categoria a categoria delle singole frazioni merceologiche. In alcune non esistono i prodotti a marchio, molte altre sono sguarnite di primi prezzi ma posseggono due diverse linee di alto di gamma: è davvero difficile capirne il senso. Qual è, infine, il motivo per cui la business community (sia l'Idm sia la Gda) ha dato il primato della comunicazione al pricing, quindi all'atto dell'acquisto, piuttosto che al piacere del consumo, se il linguaggio del pricing è diventato così illeggibile e insostenibile?

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