I superfood, concentrati di salute in cerca di spazio

Potenziali integratori di fatturato per l'impresa agricola italiana, i cibi del benessere cercano ancora una collocazione di vendita in gdo (da Gdoweek n. 18)

Fino a pochi anni fa l’avanguardia del cibo era rappresentata dagli alimenti funzionali. Oggi siamo già nell’era della nutrigenomica e degli alimenti nutraceutici. Poter concentrare il massimo delle proteine, delle vitamine o dei sali minerali in una piccola quantità di cibo è un pensiero rassicurante nella società del poco tempo. E così i comuni broccoli si sono trovati proiettati dalla ricerca e dal marketing sull’olimpo dei superfood insieme ad altri cibi da sempre presenti sulle tavole degli italiani, come i capperi e i peperoni, improvvisamente eletti a dei della salute. Ma su questa vetta riservata solo ai detentori di virtù “sovrumane” si incontrano anche bacche, semi, alghe, frutti e pseudo cereali dai nomi stranieri, fatti entrare a forza nei menù degli italiani. Spesso utilizzati come ingredienti complementari, i nuovi prodotti a base di superfood stanno vivendo un vero e proprio boom. Durerà?

Le prime filiere italiane
Su alcuni di essi l’industria italiana sta investendo per la creazione di filiere integrate per assicurarsi la materia prima ed evitare la volatilità di prezzi, destinati a salire. Pedon si è assicurato l’esclusiva dell’importazione della quinoa prodotta da Alisur, il primo esportatore del Perù. Altri stanno investendo su filiere made in Italy. Probios ha scelto d’incentivare la coltivazione della quinoa e dell’amaranto in Toscana, attraverso la collaborazione con l’Università di Firenze: “Si tratta innanzitutto di una scelta etica -ha spiegato il presidente Fernando Favilli-: il mercato si è concentrato molto su questa tipologia di prodotti e la domanda di pseudo cerali è aumentata esponenzialmente in tutto il mondo. Produrre in Italia significa alleviare tale pressione e, al tempo stesso, diminuire notevolmente l’impatto sull’ambiente, andando a ridurre le emissioni dei trasporti. Non ultimo, queste nuove colture possono rappresentare uno spunto interessante per le aziende agricole italiane operanti nel biologico, che desiderano crescere e ampliare la propria offerta in un’ottica alternativa e vincente”.

Primo produttore di goji
L’Italia è il primo produttore europeo di Goji. Il Gruppo Favella di Corigliano Calabro (Cs) e la padovana Capodaglio hanno investito con una certa lungimiranza, già da alcuni anni, nella coltivazione della bacca di goji biologica, commercializzata fresca e trasformata in succhi e marmellate nella gdo italiana ed estera, in alternativa alla versione disidratata proveniente dalla Cina, rispettivamente con i marchi goji Oh Sole e Goji Capo. In Calabria è nata anche la rete d’imprese Lykion legata alla produzione della varietà adatta al clima mediterraneo Lycium Barbarum. Le coltivazioni italiane si stanno allargando anche alla Toscana con Bio Fattorie Toscane.

L'intero articolo su Gdoweek n. 18

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