Ibc: estero, Pl e territorio le frontiere della ripresa delle aziende italiane

Lo scenario internazionale, i Paesi in crescita nonostante
la crisi e quelli che la crisi ha messo in difficoltà.
Le attese e i timori dei consumatori occidentali, una timida
ripresa con ritmi differenti, il sistema industriale italiano che cerca nuove
modalità per competere ed esige il superamento di vecchi vincoli per
rilanciarsi. Di tutto questo si è parlato nell’incontro, tenutosi a
Milano il 19 maggio, organizzato da Ibc (Associazione Industrie Beni di Consumo) sul tema: Dinamiche di mercato e strategie d’impresa. Opportunità e sfide per l’industria del largo consumo.

Quadro internazionale
Stando alle analisi dell’economista Mario Deaglio
(Università di Torino): soltanto gli Usa sono ritornati, a fine 2010 -se non si calcola il Pil per abitante-, ai livelli pre-crisi, però dagli anni bui hanno ereditato ben otto milioni di disoccupati in più che non riescono a rientrare nel mercato del lavoro. La produzione industriale in Europa, vede la Germania
tornata a buoni livelli, mentre in Francia e soprattutto in Italia si è ben
lontani dal ripartire.

Italia
I pochi segnali positivi arrivano da una leggere ripresa
dell’export, insufficiente però per sostenere un rilancio strutturale. Risultato? Diminuiscono ulteriormente i redditi i consumi e
il clima di fiducia. Tendenza confermata dal presidente di Ipsos, Nando
Pagnoncelli
, che ha segnalato come la preoccupazione principale degli italiani
è di gran lunga quella relativa al binomio lavoro/occupazione, ma individuando
una generale tendenza nel nostro paese non tanto a tagliare di netto alcuni consumi,
quanto a ridimensionare in proporzione un po’ tutte le voci di spesa, senza
rinunciare del tutto alla qualità, denunciando un forte attaccamento alla marca
e alle garanzie che può fornire. Tutto questo, di fronte a una ridotta capacità
di spesa e alla consapevolezza che l’uscita dalla crisi non è dietro l’angolo. Le strategie di risparmio sono articolate, passando da una
maggiore propensione al risparmio sui prodotti per la pulizia della casa e meno
riguardo agli alimentari e alle bevande. Pessimismo imperante? Giammai, le opportunità per le imprese
ci sono, si presentano su diversi fronti, anche percorribili parallelamente. Di
questo ha ragionato il presidente di TradeLab, Luca Pellegrini, indicando
quattro possibili punti cardinali che possono guidare a ripresa: presidio
locale, nicchie globali, outsourcing di produzione e partnership con il trade. 

Il presidio locale è una strategia che oggi è perseguibile
in virtù delle progressiva revisione da parte delle grandi multinazionali degli
impianti produttivi, del portafoglio prodotti e del ruolo delle filiali. Una
logica che comporta, da un lato, la riduzione del presidio locale e dall’altro
dismissione di brand di nicchia o solo locali. Spazi che si aprono per imprese
di stazza minore, ma capaci di di operare nel segno della qualità e
dell’efficienza.

Chi, invece, già opera in un ambito locale, di nicchia,
potrà, sua volta mirare a nuovi mercati fuori dai confini nazionali, a patto di
essere in gradi di sapersi focalizzare sulle competenze di prodotto e di
mercato, sviluppando brand di nicchia, ma globali.

Terza direttrice per un possibile sviluppo è quello
concernente l’outosourcing di produzione in virtù dello spostamento del
baricentro strategico delle filiere nelle fasi di sviluppo del prodotto e nel
presidio del mercato, che vede le grandi imprese allontanarsi dalle competenze
originarie, creando opportunità per le pmi versate su produzioni specializzate
da gestire in proprio o proponendosi come partner dei grandi gruppi
industriali.

Infine, le private label, area di sviluppo ancora in fieri,
che può condurre alla creazione di partnership di lunga durata e anche al
referenziamento di prodotti proposti con il proprio brand.

Esempi virtuosi
Le case history vincenti presentate da Pellegrini, sono diverse, non
episodiche, ma frutto di precise strategie. Ad esempio, il presidio locale è una
scelta che ha premiate aziende come Guaber che ha acquisito Vim e Ballerina da
Unilever, oppure gli Oleifici Mataluni che hanno arricchito il portafoglio con
Topazio e Oio presi da Chiari&Forti, e Olio Dante da Sos. Anche Colussi ha seguito lo stesso percorso prendendo Misura da
Heinz, Agnesi da Danone e Audisio dall’olandese CSM.

In direzione della creazione di nicchie globali sono andati
invece la stessa Colussi, ma anche Soresina, Mutti, Mataluni, Orogel,
Parmacotto, San Benedetto, facendo leva sul made in Italy. Nella stessa
direzione vanno anche quelle aziende, come Mutti e Oleificio Matalumi che hanno
costruito il loro vantaggio competitivo facendo leva sulla qualità e sulla
partnership con la produzione agricola, operazione impegnativa, fortemente
locale, difficile per i maggiori player globali. Non a caso qui si parla come
formula felice della nascita di “multinazionali tascabili”.

La terza via, legata al progressivo outsourcing di
produzione, è declinabile in diverse soluzioni, come mostrano gli esempi
forniti da Pellegrini con la nascita come specialisti nella produzione per
l’Idm (CIP4 e Orlandi), gli accordi sviluppati da San Benedetto con Pepsi,
Ferrero, Cadbury, Schweppes. Anche Colussi è da annoverare in seguito alla
commercializzazione dei prodotti Del Monte e dell’acquisizione della licenza
per il marchio Liebig.

Riguardo alle private label, Pellegrini ha ricordato che
sempre più ai copacker viene richiesto un contributo di innovazione in
cambio  di partnership di lungo
periodo e questo comporta/richiede il passaggio da un’innovazione di processo a
una di prodotto che rende il partner industriale meno sostituibile. Un’area di forte innovazione è sicuramente quella relativa
al packaging che richiede anche forti competenze impiantistiche.

In questa chiave, l’invito all’ottimismo rivolto dal
presidente di IBC, Aldo Sutter agli associati, trova una base concreta da cui
partire.

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