Il calo dei consumi alimentari fa chiudere i negozi

A parte le sottigliezze tecniche da lasciare alla discussione tra economisti, non ci sono più dubbi sul fatto che il paese stia vivendo una fase di recessione: l'ennesima conferma arriva dai dati Istat sulla spesa delle famiglie nel 2007. I numeri, che peraltro secondo l'opinione degli osservatori sono peggiorati nei primi mesi del 2008 con l'aumento del prezzo del greggio, mostrano che per la prima volta dall'avvento dell'euro l'importo destinato mensilmente alla spesa alimentare è diminuito. Si è passati da 467 a 466 euro, mentre la spesa per il non food è salita dell'1%, dai 1994 euro del 2006 ai 2014 dell'anno successivo.

Da un punto di vista teorico le spiegazioni per il calo dei consuni food potrebbero essere due: o i prezzi sono calati o le famiglie hanno fatto downgrading negli acquisti. La spiegazione giusta è la seconda, come emerge dall'Istat: oltre il 30% dei nuclei familiari ha ridotto la qualità dei prodotti acquistati, con punte che arrivano al 33% per il pane e al 38% per la pasta. L'incremento del non food, peraltro inferiore anche all'inflazione ufficiale dell'anno (1,8%), è dovuto soprattutto alle spese incomprimibili, come quelle per i servizi sanitari e la casa, o difficilmente contenibili, come quelle dei trasporti.

Un immediato riscontro sui comportamenti delle famiglie nel 2007 si ottiene esaminando anche i dati, strettamente correlati, sulle aperture di nuovi negozi: nei primi tre mesi di quest'anno, 13.315 punti vendita hanno cessato l'attività. Non reggono più la concorrenza della grande distribuzione e dei centri commerciali, che continuano una spietata guerra dei prezzi. L'interrogativo è allora questo: quanto potranno reggere anche gli anelli più deboli della gdo all'erosione dei margini?

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