Intervista a Daniele Rama sull’Europa e la sfida asiatica sulle materie prime

In un mercato mondiale nel quale ricchezza e consumi, si stanno spostando sempre più ad Est, il settore primario del Vecchio Continente si trova di fronte a una sfida dalla quale dipende la sua sopravvivenza come soggetto capace di intercettare la domanda mondiale di alimenti. Ancora più complessa la posizione dell'agricoltura italiana, che può contare su vantaggi peculiari in termini di riconoscibilità della nostra tradizione e qualità su tutto il palcoscenico mondiale, ma deve fare i conti con un territorio molto limitato e fragile, con una struttura produttiva polverizzata e con una carenza infrastrutturale che limitano la nostra capacità competitiva.
Daniele Rama, docente di Economia e Gestione del Sistema Agroalimentare, Università Cattolica del S. Cuore, Cremona e curatore dell'Osservatorio Latte ci introduce le ragioni di questo fenomeno, tratteggiando i fattori che stanno guidando la crescita del consumo mondiale del bianco alimento e dei suoi derivati.
“La domanda mondiale di latte è in crescita -spiega Rama- perché sta aumentando il numero della popolazione mondiale e, contemporaneamente, in alcune regioni, penso all'Asia, si sta verificando una crescita economica rilevante. Soddisfatti i bisogni principali della popolazione, in molti possono rivolgersi a beni considerati di lusso, per noi normali, come possono essere il latte e i suoi derivati. Non ultimi intervengono anche fattori culturali: latte e formaggi sono considerati prodotti tipicamente occidentali, europei e nordamericani, quindi c'è una sorta di emulazione nel consumo in tutto il pianeta”.
creare partnership
interprofessionali
per filiere competitive

Come mai in una situazione del mercato con queste caratteristiche, l'Europa non riesce a fare crescere le sue esportazioni?

Non stiamo approfittando dell'espansione del mercato mondiale del latte. L'Europa ha dei suoi mercati privilegiati che a volte si aprono a volte si chiudono: pensiamo al mercato russo, grande boom nella seconda metà degli anni Novanta, poi stanchezza, oggi si sta riprendendo. Per il resto l'Europa sta vivendo una sorta di sostanziale immobilismo, con una produzione bloccata e con consumi stabili. Credo che l'uscita dal sistema delle quote potrà dare un nuovo slancio alla produzione, quindi una maggiore capacità di esportazione.

Non crede sia un problema di costi di produzione che rendono il latte europeo poco competitivo rispetto ad altri competitor mondiali?

Naturalmente, il mercato mondiale del latte si regge su latte intero in polvere destinato a essere ricostituito e bevuto così, oppure trasformato. Partendo da una polvere di latte, che è una commodity, chi offre il prezzo più basso vince: per esempio, i neozelandesi sono molto competitivi sul versante costi, infatti le loro esportazioni in Asia stanno aumentando. L'Europa ha standard di sicurezza, sostenibilità ambientale, tracciabilità assolutamente elevati, quindi con un costo più rilevante. Il ruolo dell'Europa sarà di rispondere alla domanda crescente di prodotti di qualità elevata, compresi i fattori ambientali e di benessere animale. Tuttavia, è difficile fare breccia sui mercati, soprattutto quelli di nuova apertura senza alcun background culturale sulla qualità. Il contenimento dei costi è naturalmente necessario, ma non sarà mai un fattore competitivo per l'Europa. È esemplificativo della mia visione l'andamento delle esportazioni dei nostri formaggi grana: in questi anni l'export mondiale è cresciuto di quattro o cinque volte. La crescita delle esportazioni ha coinciso con una fase decrescente del ciclo dei prezzi, ma è interessante notare come nella seconda parte del 2009 e del 2010 le esportazioni hanno tenuto, pur con prezzi in crescita. Certo con qualche difficoltà, determinate dai tassi di cambio sfavorevoli, per esempio sul mercato statunitense, ma l'impressione è che se si conquistano dei mercati, anche con i prezzi bassi, poi si riesce a mantenerli in virtù di qualità e differenziazione.

Oggi, la sopravvivenza di alcune filiere locali è a rischio, per via della concorrenza mondiale, condotta sui costi di produzione che estromette i nostri agricoltori e allevatori dal mercato. Quali possono essere le contromisure da prendere?

Credo che le filiere debbano iniziare a ragionare in un'ottica di partnership interprofessionale, per fare collimare le esigenze di tutti i soggetti. L'esempio diretto che posso portare è l'iniziativa condotta da Ferrero in collaborazione con In.Al.Pi e le associazioni di categoria degli allevatori piemontesi, per la quale abbiamo sviluppato un metodo di calcolo del prezzo all'origine che tiene conto dell'andamento complessivo del mercato del latte alla luce delle caratteristiche della nostra filiera. L'azienda dolciaria piemontese aveva interesse nel mantenere una quota del suo latte in polvere prodotta localmente. Quindi, introducendo un meccanismo di pagamento del latte agli allevatori che parta da una quota fissata convenzionalmente, indicizzata di mese in mese, abbiamo ottenuto un accordo che riunisce gli interessi di tutti i soggetti. Il meccanismo è complesso e tiene conto di numerosi fattori, tra cui le quotazioni locali e quelle europee, visto che l'Italia è un paese importatore di latte, e le voci di costo di produzione. Perché, per mantenere in vita una filiera locale e la possibilità di fare partnership, gli operatori devono poter produrre in maniera economicamente sostenibile.

Ritiene che questo meccanismo di indicizzazione possa essere applicato ad altre filiere?

Per esempio, nel grano duro l'Italia è in difficoltà, ma l'industria di trasformazione ha la necessità di mantenere una produzione locale. Sotto il profilo dei costi, il grano duro italiano non è competitivo, ma in un'ottica di partnership di filiera si possono mantenere in vita, con profitto, le produzioni.

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