Intervista a George S. Day l’ideatore dell’approccio Outside In

Studiando casi reali di aziende, i loro successi e anche i
loro insuccessi, George S. Day e Christine Moorman,
rispettivamente professori della Wharton School of the
University of Pennsylvania
e della Duke University, sono
giunti alla conclusione che è la strategia cosiddetta dell'Outside In,
ovvero quell'insieme di pratiche focalizzate sul dare un alto valore al
cliente, che le rende profittevoli e di successo. I due autori ritengono,
inoltre, che le aziende acquisiscano un vantaggio competitivo unico
e sostenibile nel tempo, quando diventano un modello difficilmente
replicabile. I risultati dei loro studi e delle loro conclusioni sono riassunti
in un loro recente saggio: Strategy from the Outside In: Profiting from
Customer Value
. Abbiamo chiesto a George Day di illustrarceli.

Ci spiega qual è la differenza tra la strategia
Outside In e quella Inside Out?

Le aziende che applicano una strategia Outside
In sono focalizzate sull'attrarre e mantenere
il cliente fornendogli un valore percepito
superiore a quello delle altre aziende.
Ottengono questo risultato mettendosi nei
panni del consumatore e guardando se
stesse, il loro operato, con gli occhi del
cliente e del mercato. Nella strategia Inside
Out, invece, l'azienda tende a focalizzarsi
su come sfruttare al massimo le sue risorse,
essere più efficiente e utilizzare la propria
core competence nel modo migliore. Soprattutto
nei momenti di recessione, questo
tipo di strategia sembra avere successo;
in molti casi, lo ottiene effettivamente, in
quanto, in un momento in cui i profitti diminuiscono,
diventare più efficienti e tagliare i
costi ha un immediato effetto positivo sugli
utili. Ma rischia di essere solo una soluzione
di breve periodo.

Il sottotitolo del libro è: Profiting from Customer Value. Che
cosa significa?

Vuol dire che, seguendo i 4 “Comandamenti” (essere
Customer Value Leader, innovare in modo da fornire
sempre nuovo valore al cliente, capitalizzare sul cliente
e capitalizzare sul brand), e, quindi, concentrandosi sul
customer value, l'azienda è capace di essere redditizia e
di successo nel tempo.

Nel libro si sostiene che le aziende partite con una chiara
strategia di Outside In, quando si sono affermate sono tornate
ad una strategia di Inside Out. Come si può evitare di
cadere in questa trappola?

È normale che le aziende, quando partono, lo facciano
dopo aver studiato il mercato, ed in particolar modo, il
consumatore e la concorrenza. Col passare del tempo,
però, pensano di sapere quello che il consumatore vuole
e quello che fanno (e ciò che faranno i concorrenti), senza
leggere realmente il mercato. In qualche modo, diventano
arroganti, cominciano a perdere il contatto con la realtà
esterna, tendono ad assumere atteggiamenti difensivi e a
focalizzarsi su se stesse, magari moltiplicando a dismisura
i prodotti offerti, o cercando di essere un indifferenziato
interlocutore buono per tutti i target. Bisogna, invece,
essere molto attenti, continuamente all'erta.

Quali sono le caratteristiche che i leader aziendali devono
possedere per poter portare avanti con successo
l'approccio Outside In?

Abbiamo notato che le imprese in grado di avere
successo nel lungo periodo, avendo implementato la
strategia dell'Outside In, hanno una leadership aziendale
intellettualmente curiosa, che mette sempre in discussione
tutto e che cerca costantemente di essere in
contatto con il cliente. Si tratta di manager che vogliono
e sono capaci di cogliere segnali, non solo dal consumatore,
ma dal mercato in generale, usando le fonti
più svariate. Riescono così a percepire
anche quello che fanno i concorrenti, che
è altrettanto importante quanto seguire
il cliente. A volte, i segnali sono deboli,
perché sono solo all'inizio, ma se uno è
capace di coglierli in anticipo ed agire
su di essi, riesce a creare un vantaggio
competitivo per l'azienda. Arrivare per
primi conta. Prima o poi, tutti colgono
gli stessi segnali e si adeguano. Inoltre,
e questa è un'altra delle caratteristiche,
una leadership che innova non si pone
in atteggiamenti difensivi, ma è capace
anche di prendere dei rischi.

E come la leadership aziendale può fare
in modo che questo approccio di pensare
pervada tutta l'azienda?

Come il top management dell'azienda,
anche il resto del personale deve essere
capace di captare i segnali del mercato
da qualunque parte gli vengano. Non è
solo una questione di corporate culture,
ma anche di organizzazione aziendale.
Tutti devono essere consci del valore del
feedback del mercato e, per questo, ci
deve essere un sistema premiante che lo
incentivi, anche se negativo. Capire, per esempio, perché
si perdono dei clienti è estremamente importante.

La conseguenza logica della strategia Outside In è l'importanza
strategica della conoscenza "intima" del consumatore.
Quali sono gli strumenti necessari per ottenerla?

Ce ne sono tanti e sono i consueti: survey, focus panel
ecc. L'importante, però, non è tanto lo strumento che si
adopera, quanto quali domande fare per avere risposte
che servano. Non solo, soprattutto bisogna agire sulla
base delle informazioni che si possiedono. Spesso, le
aziende sono strapiene di dati, ma non delle informazioni
importanti su cui agire, oppure non agiscono sulle
informazioni che hanno.

Internet sembra essere lo strumento perfetto per acuire
la capacità di ascolto del consumatore e del mercato.
Quale ruolo dovrebbe avere l'online nella strategia globale
dell'azienda?

Certamente internet ha creato grandi opportunità per
captare in anticipo i movimenti del mercato. Non mi
riferisco tanto a strumenti classici tipo survey online che,
anche se poco costosi, non hanno redemption molto
alte, ma, in particolare, ai blog, da cui si possono trarre
informazioni sia sui trend sia sui movimenti dei concorrenti.
Un altro motivo per cui ritengo internet molto utile
riguarda la possibilità di interagire direttamente con il
cliente finale.

Nel libro lei cita Tesco come una delle aziende che applica
con ritorni positivi la strategia dell'Outside In. Perché?

Tesco è un'azienda riconosciuta per la sua Superior
Customer Experience: infatti, conosce molto bene il
suo target market, grazie soprattutto ai dati che colleziona
attraverso la Club Card, e lo serve nella maniera
più consona possibile. Studia, in maniera attenta e
continuativa, cosa viene comprato nei vari store e lo
fa sistematicamente, in modo da poter
sempre fornire un assortimento adatto
a quel negozio. Effettua promozioni incrociando
dati demografici ed abitudini
d'acquisto. Per esempio, si è notato che
chi è diventato padre di recente tende ad
andare meno spesso a bere al pub e ad
acquistare una maggiore quantità di birra
da consumare a casa. Si viene, così a conoscenza
della relazione birra-pannolini,
che suggerisce di inviare, a chi compra
pannolini, anche offerte promozionali e
coupon per la birra.

Lei menziona anche Trader Joe's. A che
cosa si deve il suo successo?

Trader Joe's è stato molto bravo nel costruirsi,
agli occhi del consumatore, l'immagine
di community store, proponendo
i suoi pdv come se fossero piccoli negozi
di quartiere. Tutti sono molto amichevoli e
rilassati nelle loro camicie hawaiane, sono
gentili, ti parlano come se ti conoscessero
di persona. L'assortimento, a prezzi molto
ragionevoli, rende l'esperienza dello shopping
quasi un'esplorazione, estremamente
piacevole per il consumatore.

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