L’advertising non ha più un modello dominante

Intervenire dopo un'ora di discorso di Philip Kotler (si veda il link a destra) non deve essere facile, ma Giuliano Noci, docente di economia e organizzazione aziendale al Politecnico, riesce a reggere il confronto. E lo fa ammettendo che la comunità scientifica “è al palo” perché non è “ancora in grado di individuare un paradigma certo le strategie per le aziende”.


Vero fino a un certo punto perché poi Noci descrive la situazione e indica la via d'uscita che va nel senso di cercare nuove strade e mezzi per la comunicazione pubblicitaria e soprattutto nell'engagement dei propri clienti. Entrate nelle loro vite, nelle loro conversazioni è l'indicazione del docente del Politecnico che parte con un quadro originale della pubblicità online.


“Cent'anni fa si diceva che solo il 50% dell'investimento pubblicitario colpiva nel segno ma non si sapeva quale 50%”. Poi è arrivata Internet che prima assicurava clic through rate (Ctr, quanti clic riceve un messaggio pubblicitario online) del 3% e oggi dello 0,1%. In più secondo alcune indagini solo il 16% degli utenti clicca sui banner e negli Stati Uniti l'online display advertising è in calo.


Se anche la pubblicità online mostra segni di crisi avranno allora ragione quelli che sostengono che l'advertising sta morendo?


Un po' difficile da credere. Più che altro deve cambiare mezzi e approcciare in altro modo i consumatori.


“Stiamo vivendo una mediamorfosi”, osserva Noci. Per 75 anni è stato utilizzato un modello “spray and pray” che significa diffondiamo e poi vediamo il risultato con l'esposizione di ognuno di noi a dosi massicce di messaggi unidirezionali. Nel frattempo però la situazione è cambiata. Perdono terreno i media tradizionali e aumenta il tempo dedicato a quelli nuovi (mobile). La fortuna dell'Italia è che qui tutto marcia più lentamente, ma anche nella Penisola i consumatori sono più difficili da raggiungere. E allora diventano più importanti nuovi media come il punto vendita dove si prendono spesso le decisioni di acquisto limitate però a un ristretto numero di brand che il consumatore ha in testa grazie alla comunicazione precedente.


Oggi il consumatore chiede personalizzazione, rilevanza e interattività, ama scegliere ma non troppo, e il media mix vede in netto calo la stampa, in leggero calo la Tv, in crescita Internet e l'out of home. E se pensate a qualche canale alternativo Noci suggerisce, senza scherzare, la pubblicità nei display degli ascensori dall'impatto “devastante”.


Il quadro è questo con i big boss delle corporation estremo baluardo della conservazione che si oppone al nuovo mondo della comunicazione. Big boss che si rifiutano di accettare un mondo dove il focus dell'advertising diventa il “parlare con gli individui”. Dove non si punta sulla massa ma sul target, dove bisogna trovare le opportunità per entrare nelle conversazioni e nella vita dei consumatori. E allora il problema non è, come sostiene Kotler, fare comunicazione sui social network, ma come i social network cambiano il paradigma della pubblicità. Facebook e simili, aggiunge Noci, abilitano l'ascolto e l'obiettivo è la creazione della comunicazione che l'individuo cerca e che ritiene di valore.


Per questo è sempre più importante “non cosa ma come comunicare che si traduce in learning, nell'imparare”.
E quindi ascolto e non solo survey per cogliere i tratti socio demografici. Non bisogna buttare a mare tutto ciò che è stato fatto finora, la pubblicità tabellare ci può ancora stare (ma non con dosi massicce) ma in mezzo c'è la search engine optimization (il marketing sui motori di ricerca), gli advergame e messaggi che da intertistial (si infilano fra un contenuto e l'altro) devono essere vivistitial conquistandosi spazio (gli ascensori). Senza dimenticare l'advertising on demand di Google e la pubblicità come servizio. 
Un modello dominante non esiste più.

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