Le imprese devono fare Web 2.0, ma con cautela

Le aziende possono sfruttare le nuove possibilità offerte dal Web 2.0 per fare marketing e comunicazione, ma devono farlo con una buona dose di cautela e un certo grado di autenticità, se non vogliono incorrere in veri e propri boomerang. È questo il filo conduttore di quanto emerso dal convegno Come fare brand 2.0, organizzato dalla società di eventi, convegni e formazione Monnalisa con la media partnership di Mark Up.

Un pubblico diverso
Per parlare di brand 2.0 bisogna partire dal fenomeno Web 2.0: «Si tratta di una definizione che fa comprendere come ci sia stata un'evoluzione di Internet verso una maggiore personalizzazione - ha spiegato Mattia Losi, direttore editoriale del Sole 24 Ore Business media - Ma è difficile catalogare il mondo dell'on line, che cambia ogni momento, in una casella così rigida». È senz'altro vero però che il pubblico di consumatori con cui le aziende devono confrontarsi quotidianamente è ormai profondamente diverso rispetto al passato. Non esiste più un indistinto pubblico di massa, hanno convenuto i relatori, ma ce ne sono tantissimi, almeno quanti i prodotti in circolazione. Secondo una ricerca Gfk del 2007 citata da Fabio Fabbi di Ffect Consulting, anche l'influenza dei media sulle persone non è più quella di un tempo: il 78% dei consumatori tedeschi si dichiara irritato dalla pubblicità tv, ed appena il 24% la guarda. Negli Usa, il 76% del campione pensa che gli spot non dicano la verità, mentre il 61% sostiene di credere di più al passaparola che all'advertising tradizionale. Ecco perché in questa fase una particolare fetta dei consumatori è al centro dell'attenzione: si tratta di quelle persone abituate a fare un uso attivo degli strumenti Web 2.0, cioè a utilizzare in modo attivo blog, video, feed e quant'altro, sempre più spesso anche per commentare i prodotti o il comportamento di un'azienda. Si tratta di un numero ristretto, pari circa al 9% degli italiani secondo Alberto D'Ottavi, giornalista ed esperto del settore, ma ritenuto da molti in grado di fare da trend setter, ovvero di anticipare e influenzare il comportamento d'acquisto del resto dei consumatori.

Grazia e l'investimento nel Web 2.0
«La parola chiave è engagement- ha commentato Stefano Rocco, direttore marketing e contenuti di MySpace Italia - Le community di appassionati vogliono partecipare, possono essere considerate una sorta di portavoce spontaneo del brand. Le aziende su Internet devono però imparare a comunicare non soltanto quanto è bello un determinato prodotto, ma anche quanto questo arricchisce l'esperienza degli utenti». Gli esempi positivi non mancano: Rocco ha citato il caso del mensile Grazia, che proprio su MySpace ha dato vita a una sorta di casting on line, dove per partecipare era necessario fotografarsi in modo creativo con una copia del magazine. «L'operazione - spiega il responsabile di Myspace - ha consentito al mensile di ampliare il target e avvicinare nuovi lettori, incrementare le vendite cartacee, aprire una vetrina promozionale nel web 2.0 e generare un ritorno promozionale anche sui media radiotelevisivi».

Il caso Webank
Il web 2.0 è stato impiegato in maniera intensiva anche in un altro settore, quello bancario: nel corso del convegno è stato illustrato il caso di Webank, attiva nell'Internet banking. Già dal 2002 la filiale italiana ha iniziato a monitorare il mondo dei blog e dei newsgroup e, a partire del 2006, ha deciso di occuparsi della materia in maniera più sistematica. «Invece di usare software appositi - ha spiegato Adriana Piazza, marketing manager di Webank - all'interno della struttura marketing abbiamo una persona che passa le sue giornate a monitorare i siti dove si potrebbe parlare di Webank, ovvero principalmente i forum di finanza on line. Se un post degli utenti è negativo l'azienda può anche decidere di intervenire nel dibattito Web, ma nel caso lo fa in maniera assolutamente trasparente, presentandosi come Webank». Secondo la manager è dunque importante non cedere alla tentazione di ingannare il mondo di Internet, magari affidandosi a quelli che Umberto Bertelè del Politecnico di Milano ha una volta definito i “consulenti di manipolazione del Web 2.0”. «Molte agenzie di comunicazione - ha rivelato Piazza - ci hanno proposto di postare commenti positivi sulla nostra attività in questi forum di discussione, ma abbiamo sempre detto di no a queste offerte».

Le possibili conseguenze negative
La blogosfera, insomma, ha acquisito importanza per le aziende, ma non bisogna commettere l'errore di prendere per oro colato tutto quello che proviene da questo mondo: «Ci sono stati numerosi casi di successo - ha puntualizzato Mattia Losi - ultimo quello per il lancio della nuova Fiat 500, ma non sempre questi esempi possono essere replicati. È importante essere consapevoli che le persone che intervengono sul Web non coincidono con il pubblico di riferimento di un'azienda». «Non mancano esempi negativi per le aziende nel mondo di Internet - ha aggiunto Luigi Rubinelli, direttore di Mark Up - Se la marca non è riuscita già in precedenza a costruire una relazione forte con il proprio pubblico c'è il rischio che gli strumenti di Web 2.0 non servano, o peggio, si rivelino un pericoloso boomerang».

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