L’eccesso di marketing rallenta l’innovazione

Le raffinate e spesso complicate analisi di marketing aiutano l'innovazione aziendale o piuttosto la ostacolano? È questa la provocazione più interessante emersa dal convegno “Come far leva sull'innovazione per aumentare la produttività” organizzato dal Centro formazione management del terziario (Cfmt). In un momento difficile come quello attuale le imprese cercano di fare di tutto per distinguersi sul mercato ed essere innovative, ma secondo Nicola Favini, direttore generale di Logotel Italia, gli schemi utilizzati sono vecchi: «Innovare è avere il coraggio di rivoluzionare davvero le cose, sfruttando le intuizioni che nascono all'interno dell'azienda o grazie alla contaminazione tra settori. Le aziende invece si affidano ancora a strumenti come il benchmark, che al massimo può servire a mettersi sul livello degli altri. Oppure si confida nei focus group, dimenticando che raramente le buone idee arrivano dai clienti finali. I manager si ostinano poi a voler calcolare il ritorno sugli investimenti delle innovazioni: ma è difficile ottenere delle cifre su qualcosa che nessuno ha mai sperimentato». Il vero cambiamento, conclude Favini, è cambiare il modo in cui le aziende concepiscono se stesse.

L'innovazione è soft
Detto in termini più accademici, si tratta di adottare un'innovazione di tipo soft, ovvero più legata ai processi interni piuttosto che agli investimenti It o ai nuovi prodotti (la cosiddetta hard innovation): «La produttività oggi non dipende più solo dalla tecnologia - spiega Roberta Sebastiani, docente dell'Università Cattolica di Milano - ma anche dalla capacità di creare valore per il cliente. Inoltre la realtà italiana è meno adatta a sviluppare un'innovazione di tipo hard. Dobbiamo guardare a quello che siamo stati più capaci di fare nel tempo, come la capacità di creare significati ed esperienze o costruire network di persone e relazioni». L'innovazione, anche se soft, richiede però un importante cambio di prospettiva: le aziende, anche se produttrici di manufatti del tutto materiali, devono porsi nella prospettiva del servizio. Un esempio di azienda italiana che ha operato un mutamento in questo senso è la Cgt, un tempo semplice distributore nazionale delle macchine da lavoro Caterpillar. A partire dal 1994 questa società ha infatti deciso di non essere più identificata con il prodotto ma piuttosto col tipo di servizio offerto. Oggi infatti Cgt offre una sorta di mix tra noleggio, acquisto, rivendita usato e assistenza, così da minimizzare le ore di fermo degli apparecchi e garantire un'efficace manutenzione. Dopo un'iniziale titubanza della Caterpillar, il modello della Cgt è stato successivamente adottato a livello europeo.

Cosa fare nelle fasi recessive
L'attuale ciclo economico dovrebbe indurre altre aziende a svolte di questo tipo: « Nella fase espansiva dell'economia - ha spiegato Luigi Campiglio, professore di Politica economica all'Università Cattolica di Milano - per un'impresa è più utile cercare di mettere a punto nuovi prodotti. Ma in un fase recessiva come questa si sopravvive con l'innovazione di processo, che permette a un'azienda di razionalizzare i costi ». D'altronde è difficile differenziarsi puntando esclusivamente sulla novità di prodotto, che rappresenta un elemento a cui i consumatori sono abbastanza assuefatti: secondo una ricerca citata sulla Gdo citata nel corso del convegno da Campiglio, nel giro di due anni il tasso di rotazione dei prodotti supera il 40%. In pratica poco più di un articolo su due supera i due anni di vita sugli scaffali dei nostri supermercati.

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