Riparte la sfida del retail di marca

L’alto di gamma spinge la private label a nuovi traguardi grazie alla consolidata fiducia presso il consumatore (da Gdoweek n. 1/2017)

Come la marca, più della marca. Non è uno scioglilingua coniato per gli addetti ai lavori, ma è la lapidaria analisi di quanto sta avvenendo sul mercato della marca del distributore (Mdd) in Italia in questo momento. Che alcuni retailer abbiano iniziato a sviluppare le proprie private label sposando logiche “da marca” è un dato sotto gli occhi di tutti: segmentazione più puntuale, sbarco nei segmenti a maggiore valore aggiunto, spiccata propensione all’innovazione, promozionalità sono gli elementi che hanno guidato il mercato in queste ultime stagioni di performance non certo esaltanti, anche per il corrispondente impegno dell’Idm nel sostenere i propri prodotti attraverso copiose attività promo. Oggi quest’onda Idm è calata di intensità e i retaier invece di cedere volumi e quote di mercato della propria marca a favore dei prodotti di marca in promozione, hanno modificato la propria strategia di offerta con l’ingresso/sviluppo nei segmenti di domanda più attrattivi (crescita dei consumi, maggior valore aggiunto, target di consumatori meno condizionati dalla crisi). Tanto da spingersi a trasformarsi addirittura in insegna, almeno nelle sue propaggini più evolute.

La private label si fa insegna
Dopo le esperienze di Conad con Sapori&Dintorni, di Carrefour, di Coop Italia, ultimo arrivato in ordine di tempo è lo store Unes a insegna Viaggiator Goloso, spiegazione plastica di questo nuovo step compiuto dalle cene in Italia attraverso le loro pl premium. “Nel nostro paese -dichiara Gabriele Nicotra, direttore acquisti Unes- quasi tutte le insegne presidiano il segmento premium con prodotti che sottolineano con forza l’appartenenza di quel marchio all’insegna. Pochi casi, tra cui il nostro Viaggiator Goloso, devono il loro successo appunto a una scelta strategica e una politica di marca che si è affinata nel tempo e oggi passa da un’ottica commerciale (tipica del mondo distributivo) a un’impostazione industriale. Il posizionamento, le scelte valoriali, la coerenza di ogni progetto ad un disegno complessivo rappresentano gli elementi che i clienti riescono a individuare immediatamente. Il temporany shop, i negozi monomarca, laddove la marca è forte ed autentica, riescono a dare buoni risultati e ad affermare il brand e a diffonderne conoscenza e popolarità”. “La gestione delle marche dei distributori -concorda Gonzague de Carrere, direttore Mdd private label di Carrefour- come marca è a pieno titolo un vero successo. Da Carrefour, per esempio Terre d’Italia e Carrefour Bio sono due marche che sono ben riconosciute dai consumatori. Sono delle leve di differenziazione e ci rendono più forti rispetto ai nostri concorrenti. Oggi come retailer dobbiamo gestire un ciclo di sviluppo della marca con un piano di comunicazione, digitale e di marketing che è solito dei brand industriali”. “Con l’apertura di punti di vendita a insegna Sapori&Dintorni -dichiara Francesco Pugliese, amministratore delegato e direttore generale di Conad - abbiamo dato il via ad un’operazione di valorizzazione dell’insegna Conad, attraverso il nostro brand premium. Non vogliamo, però, costruire una nuova catena monomarca, bensì continuare a dare distintività alla nostra insegna declinando il legame tra S&D e Conad magari in corner e aree nei nostri pdv. Tuttavia, sono molto soddisfatto delle aperture degli store a insegna S&D: con una redditività di 18mila euro al metro sono senza dubbio un caso di successo”.

Capitale fiduciario multichannel
“Del resto -spiega Guido Cristini, docente ordinario di economia e gestione delle imprese presso l’Università di Parma e curatore del Rapporto Marca la fiducia nelle pl è ormai, conquistata: i fornitori sottostanno a rigidi capitolati di produzione e i distributori hanno saputo parlare correttamente ai propri clienti, illustrando tutti i plus qualitativi dei prodotti a proprio marchio. I controlli cui i retailer sottopongono i loro copacker sono un capitale fiduciario che si può spendere, soprattutto nei segmenti a maggiore valore aggiunto. I consumatori post crisi sono più adulti e pragmatici e attenti alla sostenibilità della loro spesa. Alcuni retailer hanno saputo intercettare questi bisogni, proponendosi come intermediario fiduciario tra la produzione e il mercato, divenendo una sorta di interfaccia privilegiata (e sicura): pensiamo a Whole Foods negli Usa, catena che ha cambiato l’approccio degli statunitensi al cibo proponendosi come paladino del 100% naturale”. “Stiamo assistendo alla conferma -aggiunge Roberto Nanni, responsabile strategia prodotto a marchio in Coop Italia- che la pl è definitivamente sdoganata agli occhi del consumatore, oltre che nei suoi comportamenti di acquisto, è diventata una vera e propria marca. Ciò significa che la sua credibilità, conquistata sullo scaffale dei pdv e dal grado di soddisfazione dei consumatori/user, in questo frangente può interpretare lo stesso ruolo importante in termini di valorizzazione del brand insegna, anche al di là dei luoghi fisici nei quali ha, nel tempo, costruito il suo successo”.

L'intero articolo su Gdoweek n. 1/2017

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