United food of the world, cibi dal mondo in gdo

Per i retailer i prodotti etnici sono ormai un universo di grande interesse non solo nel confezionato ma anche nel fresco e in gastronomia (da Gdoweek n. 2/2017)

“Cose buone dal mondo”: mai come ora sembra di grande attualità lo slogan che ha accompagnato Kraft Italia per tanto tempo, nel secolo scorso. Solo che ora a portare agli italiani le cose buone dal mondo non è un solo brand o un’unica azienda, ma sono i retailer per i quali i prodotti etnici rappresentano un universo di grande interesse e in rapida evoluzione. Soprattutto per i loro clienti italiani. Lo sdoganamento dei prodotti etnici è frutto dell’evoluzione della società e dell’affermarsi di nuovi stili di consumo. Tanto che ormai, probabilmente, è arrivato il momento di trovare una definizione più calzante alla categoria, che passi dalla nicchia dispregiativa dell’etnico agli orizzonti seducenti dell’er-sotic, crasi di cibo erotico ed esotico (copyright Enrico Finzi).
Il mondo dei cibi dal mondo, in effetti, è molto cambiato negli ultimi anni. Sembra passato molto tempo da quando questi alimenti erano chiaramente destinati a un pubblico di nuovi italiani o a una nicchia di consumatori esterofili, e in quanto tali venivano considerati un mero completamento dell’offerta del punto di vendita, con assortimenti minimali, prodotti a basso valore aggiunto e rotazioni modeste. Anche l’esposizione era minima, tanto che, tranne poche eccezioni, trovare una scatola di cous-cous o una salsa di soia richiedeva pazienza mentre scovare un pacco di quinoa o di riso basmati era una vera e propria caccia al tesoro. Altri tempi. Oggi la proposta di alimenti delle tradizioni alimentari di tutto il mondo è diventato un punto di vanto per molte catene. E così, chi anche non aveva inserito il sushi, i tacos, i noodles o la papaya nella sua lista della spesa, difficilmente non si accorge della loro presenza nel negozio poiché oggi molti retailer segnalano in modo evidente (e spesso accattivante) questo genere di prodotti “esotici”, spingendone così l’acquisto di impulso. L’interesse per il mondo degli chef e per la gastronomia in genere, l’apertura (anche in provincia) di ristoranti fusion o che propongono cucine di altri paesi (la metà degli italiani ci è entrata almeno una volta e il 20% li frequenta una volta al mese), l’apertura delle nuove generazioni alla contaminazione culturale, il maggior  cosmopolitismo  e  la  “democratizzazione” dei viaggi all’estero hanno portato, piuttosto rapidamente, a superare la barriera di diffidenza, ritrosia e sospetto con cui è stata vista a lungo la cucina etnica. E il desiderio di sperimentare nuovi sapori è diventato cross-generazionale. Risultato: oggi, quasi l’85% della popolazione ha familiarizzato con il cibo etnico e il 57% ne ha aumentato il consumo rispetto a cinque anni fa, come dice una ricerca dell’Osservatorio dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (Isz).
Dal mondo della ristorazione il consumo di alimenti etnici si è così spostato nelle case dei consumatori, incoraggiati anche dalla maggiore disponibilità di questi prodotti sugli scaffali dei punti di vendita.  Oggi, secondo la ricerca Isz, 3 italiani su 4 dichiarano di acquistare cibi etnici e di farlo nei supermercati (48,3% contro il 17,2% di chi va a comprarli nei negozi gestiti da stranieri). E quasi il 62% li cucina personalmente, magari usandoli per reinterpretare la cucina tradizionale italiana. Lo conferma il Rapporto Coop 2016, da cui emerge non soo che l’85% degli italiani ha già provato una qualche cucina etnica ma anche che quasi un terzo utilizza abitualmente alimenti extra-italiani nella sua alimentazione mensile.   I numeri del sell-out attestano questo trend. Il carrello etnico è quello che cresce di più nella gdo e, secondo il Rapporto Coop, nel primo semestre dell’anno scorso ha messo a segno un ragguardevole +8% a volume, dimostrando il maggior dinamismo tra tutti gli stili di shopping. Un salto in avanti che non sembra riconducibile alla comunità straniera residente in Italia, pari a circa 5 milioni di persone. Ad accostarsi alle cucine del mondo sono soprattutto gli italiani. I consumatori “autoctoni”, curiosi e aperti ad altri sapori, sono un target sfaccettato. Giovani figli della globalizzazione, certo, ma non solo: secondo una ricerca dell’Osservatorio dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (Isz), l’acquirente-tipo di alimenti etnici è donna, ha oltre 35 anni, è mamma e lavora, risiede al nord e ha un livello di istruzione medio-alto. Sarebbe sbagliato pensare, però, a un consumo elitario: mai come oggi il cibo etnico mette d’accordo alto e bassospendenti visto che, in ragione del suo costo spesso contenuto, rappresenta un lusso esotico alla portata di tutti. Le motivazioni per cui si mangia etnico emerse dalla ricerca dell’Isz sono infatti diverse: per mangiare qualcosa di diverso (51,4%), ma anche per ragioni culturali (31,1%) ed economiche (7,4%).

L'intero articolo su Gdoweek n. 2/2017

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