Fidelizzazione e gdo: dove stiamo andando?

La multicanalità dei consumatori e degli acquisti ridisegna il profilo della fedetà e dei programmi loyalty (da Gdoweek n. 16)

Sono passati vent’anni da quando Tesco lanciò il suo programma fedeltà Clubcard, facendo scuola per la gdo di tutti i Paesi, Italia compresa. All’inizio degli anni 2000 in Italia dieci insegne avevano distribuito ciascuna più di un milione di carte di fedeltà tra i propri clienti e distinguevano tra titolari e non, ricompensando i primi con punti per regali e con sconti a scaffale. L’obiettivo da raggiungere, in quei primi anni del Loyalty Marketing, era diffondere l’uso della carta: in media, la penetrazione tra i clienti della gdo era del 60% e la ponderata sul fatturato del 75%. Chi andava anche oltre, arrivando a coperture dell’80-90% e oltre, lo doveva ad una efficace e capillare comunicazione, ma soprattutto alla generosità superiore del programma: una ricerca del nostro Osservatorio del 2011 evidenziava come i prodotti scontati a scaffale solo per i titolati di carta fossero circa 600 in due insegne italiane, mentre tutte le altre scontavano in media solo 80 prodotti. Lo stesso per i prodotti che permettevano di accumulare punti extra e per i prodotti in volantino scontati solo per i clienti fidelizzati: 15% era la media nazionale (elaborazioni su Nielsen Folder@Net) ma le due insegne eccellenti riservavano oltre il 30% dei prodotti a volantino, mentre molte delle altre erano sotto il 5%. In seguito, per alcune aziende, la Loyalty si è evoluta in Customer Relationship Management (Crm): lavorando su retention, cross selling e riattivazione dei clienti in modo mirato, chi faceva Crm si metteva al riparo dall’imitazione, in un mercato che si stava affollando velocemente di programmi tutti uguali. Il Crm non è alla portata di tutti: richiede forte dedizione del top management, riorganizzazione interna e risorse umane dedicate. Nel 2015 uno studio del nostro Osservatorio Fedeltà alla ricerca dei “best in class” del Crm ha evidenziato che solo il 30% delle aziende italiane poteva dirsi in grado di fare davvero Crm; tra queste solo nove aziende della gdo grocery.
A contendersi l’attenzione e la fedeltà degli italiani per gli acquisti grocery ci sono oggi i siti di eCommerce, le piattaforme online, gli sfogliatori di volantini digitali, le app di cash back, i siti di daily deal, i wallet digitali di ogni tipo, in particolare quelli che contengono strumenti di pagamento. Abbiamo assistito all’adozione di programmi fedeltà da parte dei grandi player dell’eCommerce: non solo il modello in abbonamento reso celebre da Amazon Prime, ma anche tradizionali programmi con accumulo di punti, tutti digitali, sono stati lanciati dalle online travel agency come Booking.com ed Expedia. Già nel 2015 il 77% dei membri dei programmi loyalty della gdo era registrato ad almeno uno dei 15 principali nuovi player  sopracitati, il 14% era iscritto ad Amazon Prime e il 26% era d’accordo che Amazon Prime fosse un programma fedeltà (indagine Osservatorio Fedeltà UniPr 2015 su Panel consumer Nielsen).
Gli iscritti ai programmi loyalty dei retailer tradizionali non sono tutti uguali: gli Smart Loyals sono quelli con un’attività online nettamente più intensa della media, quelli che visitano e acquistano più spesso su Amazon, TripAdvisor, Booking e Groupon. Il 63% è registrato ad Amazon e il 21% è membro di Amazon Prime: si tratta di 2,7 milioni di persone, il 15% della popolazione. La notizia davvero interessante e densa di conseguenze è che questi italiani superdigitali sono anche i più coinvolti nel proprio programma di loyalty. Hanno la share of wallet più elevata rispetto a tutti gli altri. Utilizzano tutti gli elementi del programma fedeltà: in particolare, l’utilizzo di coupon e di servizi riservati è altissimo, rispetto agli altri consumatori. Il legame è così forte che, se l’insegna dovesse chiudere il programma fedeltà, due Smart Loyals su tre cambierebbero il proprio comportamento di acquisto nei confronti dell’insegna stessa. Sono i più soddisfatti rispetto alle opzioni di utilizzo dei punti del programma, ma anche i più interessati all’idea di poter usare i punti per fare acquisti online. In media ogni insegna della gdo italiana ha un 13% di Smart Loyals all’interno della propria clientela fidelizzata, ma alcune insegne registrano il 27%, il 30% e addirittura il 50% di questa tipologia di clientela.
Oggi tutti i clienti dei retailer, non solo gli Smart Loyal, hanno più occasioni, rispetto al passato, per incontrare la propria insegna o brand preferito. L’Osservatorio Fedel-
tà UniPr, in collaborazione con Nielsen, ha analizzato nel 2016 diversi settori e ha scoperto che in tre mesi mediamente un cliente dei retailer mass market entra in contatto con ben 10 touchpoint diversi dell’insegna, in un percorso verso l’acquisto (la cosiddetta shopping journey) che si snoda attraverso elementi tradizionali come il punto di  vendita, il volantino e la marca commerciale, e touchpoint più innovativi come il sito dell’insegna, la pubblicità online e la app. Abbiamo anche verificato che, quando l’esperienza del cliente con questi touchpoint dell’insegna è positiva (ovvero è di qualità superiore alla media) la sua fedeltà aumenta. In particolare, emerge che l’intenzione di fare passaparola positivo aumenta dell’11%, quella di condividere i propri dati personali con l’insegna del 14% e l’intenzione di rimanere fedeli all’insegna del 12%. Lo studio dell’Osservatorio ha evidenziato che sono solo dieci i touchpoint che hanno una relazione significativa con la fedeltà. I clienti fedeli sono quelli esposti più spesso degli altri ai social networks, al passaparola, ai coupon, al sito dell’insegna e alle comunicazioni via e-mail. E le esperienze positive che rafforzano la loro fedeltà sono quelle con lo store, la marca commerciale, il volantino, il programma fedeltà, il passaparola e il personale di punto vendita. I touchpoint da presidiare quindi sono diversi, molti tradizionali ma altri digitali, come il sito dell’insegna o le comunicazioni personalizzate. Perché l’esperienza del cliente sia un viaggio positivo e ricco di valore tra questi punti di contatto essi vanno disegnati in modo che siano:
• connessi
• coerenti
• sensibili al contesto
• che raccontino il brand theme.
L’Osservatorio Fedeltà UniPr sta realizzando una nuova ricerca su “Omnicanalità e Fedeltà” che vuole fare il punto su quello che le aziende italiane hanno realizzato finora per cucire tra loro i canali per una migliore customer experience. Ora presentiamo risultati provvisori e relativi solo a gdo food, non food, profumerie e farmacie, ma i risultati complessivi, che riguarderanno anche l’industria e i servizi, saranno presentati al Convegno del 20 ottobre. Il 63% della distribuzione intervistata vende sia offline sia online. Hanno capito che il web è molto importante per portare i clienti in punto di vendita (voto 5,3 in una scala da 1 a 7); più bassa, sorprendentemente, è l’importanza del mobile (voto 4,9). Non sembra così utile sfruttare invece il negozio per portare i clienti sui canali web e mobile dell’insegna. Ed è un peccato, perchè è lì che possono essere messi in atto quei servizi di “cucitura tra canali” di grande impatto sull’esperienza del consumatore.
Pensiamo alla sensazione positiva che lascia al cliente cercare un brand (online o nel negozio) e trovarsi a disposizione servizi come:
• stock availability: posso controllare online se il prodotto è presente nel negozio che mi interessa;
• click & reserve: posso prenotarlo online senza doverlo pagare e sarò sicuro che quando andrò in negozio lo troverò;
• online appointment: posso prenotare online un appuntamento in negozio con il personale di vendita per provare il brand;
• click and collect: posso ordinarlo online e ritirarlo in negozio;
• in store return of digital purchase: lo posso acquistare online ma posso cambiarlo o restituirlo in punto vendita;
• virtual catalogue: servizio che permette di visualizzare tutte le referenze del prodotto/assortimento, in particolare quelle non presenti in punto di vendita ma ordinabili.
Cosa pensano i retailer italiani di questi servizi? Al primo posto, certo per la facilità di realizzazione, si trova lo store locator: il 76% aiuta il cliente a trovare il negozio più vicino, tramite il sito e la app. Segue il click&collect, già offerto dal 45% dei rispondenti, mentre un altro 24% vi ha investito e lo offrirà entro un anno. Il 60% ha compreso la necessità di identificare il cliente tra canali, adottando una carta di fedeltà digitale o ID cliente che sincronizza l’account del cliente tra i diversi touchpoint. Anche il “carrello permanente”, che permette di incominciare e riprendere il processo di spesa più volte da canali diversi è ritenuto centrale: un retailer su tre l’ha già realizzato, un altro 21% lo offrirà entro l’anno e il 26% non l’ha ancora sviluppato ma attende di vedere come matura questo servizio.
Se confrontiamo con dati sui retailer Usa (eMarketer 2017) troviamo che l’adozione del click&collect è su livelli simili (44% in Usa), mentre il servizio di stock availability, ovvero la possibilità di controllare online se il prodotto è presente nel negozio che interessa, è al 51% in Usa ma solo al 16% in Italia. Quando si confronta l’offerta di servizi che dal negozio facciano “drive to web” le aziende italiane sono nettamente indietro. La possibilità di restituire in punto di vendita un prodotto acquistato online è esplosa nel 2017 negli Usa, passando dal 18% al 61% di retailer che la offrono, mentre in Italia sono il 26%. La maggior parte delle insegne italiane ritiene interessanti ma da non sviluppare il virtual catalogue e l’invio di offerte per acquistare online a seguito di un acquisto nel negozio fisico. Si tratta invece di opportunità per portare sul sito dell’insegna i clienti meno Smart Loyal, quindi intercettabili più facilmente nel negozio, piuttosto che online, e sarebbe di grande importanza per ingaggiarli di più. Non si sfrutta nemmeno il programma fedeltà a questo scopo: solo uno tra tutti i programmi censiti fa guadagnare punti ai clienti se fanno check in con il loro smartphone in punto di vendita. Negli ultimi tre anni il 60% dei retailer intervistati ha introdotto innovazioni radicali o importanti nei processi, nell’organizzazione delle responsabilità e nelle relazioni interne ed esterne per realizzare l’orientamento all’omnicanalità. E il restante 40%? Rimarranno ai margini come il 70% che non ha colto i benefici del Crm? Eppure “in casa” hanno uno strumento consolidato che potrebbe fare molto per il drive to store e il drive to web, per la raccolta dati tra touchpoint e per stimolare i clienti ad utilizzare servizi omnichannel che li ingaggino e li rendano più fedeli: il programma fedeltà.
Oggi il potenziale omnichannel dei programmi fedeltà è ancora sottoutilizzato. Dalla nostra ricerca (sempre dati provvisori) emerge che  il programma loyalty consente di accumulare punti sia per attività offline sia online solo nel 55% dei casi, premia i clienti che aggiornano i propri dati personali o quando rispondono ai questionari solo in un caso su due. Anche le occasioni di capire di più sul comportamento online dei clienti “fuori dal sito” va sprecata: solo il 60% dei programmi loyalty traccia il cliente tra diversi touchpoint, il 93% non permette di raccogliere informazioni su quanto fanno i clienti sui siti dei concorrenti, il 75% non premia il cliente se crea o condivide contenuti social relativi al programma nè tantomeno se collega i propri profili social (Instagram, Facebook) all’account presso il retailer (86% no).
Per fare un salto in avanti con l’omnicanalità possiamo partire da qui, da ciò che abbiamo già in casa, come il programma fedeltà, aggiungendo quelle piccole “tessiture” che rendono più fluida e “senza cuciture” l’esperienza del cliente. Sarà più facile così mantenerlo all’interno dello spazio della nostra insegna/brand, fargli provare emozioni positive che lasciano il ricordo di un’esperienza piacevole e lo predispongono favorevolmente all’acquisto, e alla fedeltà.

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