Gli chef possono promuovere il made in Italy?

Di fronte al persistente calo dei consumi interni dei prodotti alimentari e al positivo andamento dell’export, che vede l’agroalimentare in crescita del 5,3%, in controtendenza rispetto alla stagnazione delle esportazioni complessive, Denis Pantini, direttore area Agroalimentare Nomisma, e Alessandra Moneti, giornalista Ansa, si sono chiesti se la ristorazione e gli chef possono svolgere un’azione nella promozione del made in Italy agroalimentare. Lo hanno fatto nel libro "Ci salveranno gli chef. Il contributo della cucina italiana alla crescita del sistema agroalimentare", presentato il 21 febbraio presso la sede di Nomisma a Bologna, con la partecipazione dello chef Marcello Leoni, Massimo Bergami (direttore dell’Alma graduate school) e Paolo De Castro (presidente della commissione Agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo).

Export ancora ridotto
Nonostante il prestigio internazionale del made in Italy alimentare, delle oltre 54mila imprese alimentari italiane solo il 12% esporta. “La propensione italiana all’export -ha spiegato Denis Pantini- è più bassa rispetto a quella di Francia e Germania perché il 90% delle imprese sono di piccole dimensioni. La ristorazione italiana nel mondo può dare una mano proprio alle piccole imprese in primis perché per queste aziende è più facile accedere al canale della ristorazione rispetto a quello della gdo”. Pantini ha inoltre messo in evidenza che i Paesi dove sono più diffusi i ristoranti italiani sono anche quelli dove il volume delle esportazioni dell’agroalimentare dall’Italia è maggiore.
Alessandra Moneti ha sottolineato che l’offerta enogastronomica è una delle principali leve di attrazione dei turisti in Italia: “Nel 2012 i 730mila turisti food&wine stranieri che sono venuti in Italia hanno speso 124 milioni di euro, in particolare sono attratti dalla vendemmia e dal tartufo fresco”.

Prodotti italiani nella vita domestica
Ma la vera sfida resta incentivare la diffusione dei prodotti italiani nella vita domestica: “Abbiamo riscontrato -osserva Pantini- che 3 italiani su 4 seguono trasmissioni e navigano su siti e blog dedicati alla cucina e che questi canali sviluppano, al momento degli acquisti, una maggiore attenzione alla qualità e all’origine e una propensione verso prodotti Igp e Dop”. Per incentivare i consumi interni, secondo i due autori, sarebbe necessario rivalutare anche le professioni del cameriere e dei banconisti nelle migliori gastronomie: “È infatti con loro che si relaziona il viaggiatore o il consumatore foodies -afferma Moneti- pertanto il personale di sala e il venditore sono degli ambasciatori importanti del patrimonio enogastronomico nazionale, il nostro petrolio”. L’export e il turismo sono due voci che devono far dialogare il mondo dell’agroindustria e quello della cucina, ha rilevato Massimo Bergami. “La cucina può facilitare l’export attraverso la rete capillare di ristoranti italiani nel mondo che non siamo capaci di valorizzare abbastanza nel ruolo di ambasciatori che possono esercitare. Lo stesso vale per gli chef italiani che oggi godono di grande visibilità mediatica. Inoltre bisogna lavorare sulle potenzialità del turismo.

Enorme potenziale di crescita
Secondo il piano strategico sul turismo del ministro al Turismo del governo Monti, Piero Gnudi, è indicato un potenziale di crescita del settore di 30 miliardi e 500mila posti di lavoro”. Marcello Leoni punta il dito contro le limitazioni burocratiche a tenere degli stagisti e contro le contraffazioni.
Paolo De Castro avvalora la tesi degli autori del libro sottolineando come sia cambiato il vissuto dei consumatori verso i ristoranti italiani: “Se fino a qualche anno fa erano considerati delle trattorie dove poter mangiare a prezzi modici e a una qualità accettabile, oggi sono luoghi molto prestigiosi e alla moda. Le contraffazioni sono figlie del successo del made in italy alimentare e fioriscono laddove l’offerta non copre la domanda. Il grande problema dell’Italia è la poca capacità distributiva, basta dire che non esiste una catena della gdo italiana che abbia sedi all’estero”.

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