L’organizzazione commerciale è il plus di Coca-Cola Hbc Italia

Dario Rinero non sembra molto preoccupato della crisi dei consumi. Non pare sottovalutarla ma neppure sopravvalutarla. Prende le distanze da alcune tesi, da alcuni luoghi comuni sul perché del calo dei consumi e rilancia il ruolo dei grandi marchi, delle logiche commerciali e di marketing. Nel 2007 Coca-Cola Hbc Italia è stata riconosciuta la seconda migliore azienda nel paese e fra le prime 100 in Europa per la gestione e lo sviluppo delle risorse umane da Great Place to Work Institute, l'istituto internazionale che classifica i migliori luoghi di lavoro. E di questo sì che ne va fiero. Però la società italiana sembra richiudersi su se stessa e molti consumatori-cittadini non riconoscono più un ruolo definito alle istituzioni, alle associazioni, alle imprese come portatori di positività economica e sociale.

Quale ruolo hanno le multinazionali oggi?
Un ruolo fondamentale. Sono oltre 7.000 le imprese a partecipazione estera in Italia, con 850.000 dipendenti e oltre 400 miliardi di euro di fatturato. Investono il 7% del loro valore aggiunto in Ricerca & Sviluppo contro lo 0,8% delle imprese italiane. Hanno un tasso di crescita fuori discussione, così come il tasso di creazione di nuova occupazione.

Un numero su tutti?
Fatto 100 il valore aggiunto per addetto delle imprese italiane, quello delle multinazionali è superiore di 25 punti. Segue una logica di upgrading skills diversa da paese a paese. Solo una grande azienda multinazionale infatti può equilibrare le sue scelte a seconda dei risultati che ottiene in ogni singolo paese. Un'impresa nazionale ha invece il solo mercato domestico a cui guardare. Se ne deduce che se un governo, qualsiasi esso sia, sapesse sfruttare al meglio la presenza e il valore delle multinazionali, potrebbe creare valore per l'intero paese.

Cosa significa l'Italia per Coca-Cola Hbc?
È una grande opportunità di crescita. Lo è, per la verità, da oltre 80 anni per noi. Abbiamo investito una media di 30 milioni di euro all'anno negli ultimi sette anni, promuoviamo occupazione, sviluppiamo capitale umano, innoviamo, siamo impegnati nel campo della responsabilità sociale di impresa. L'Italia è uno dei paesi chiave (siamo il secondo paese per volumi dei 28 in cui operiamo) sui cui continuare a investire anche in futuro. Dal 2000 a oggi abbiamo assunto oltre 600 persone. Nel canale dell'horeca inseriamo 25-30.000 frigovetrine all'anno. Oggi ne contiamo oltre 150.000. è un valore rilevante non solo per il nostro business ma anche per tutto l'indotto a noi vicino. A Nogara, in Veneto, abbiamo il più grande centro di produzione d'Europa nel quale abbiamo investito negli ultimi 3 anni oltre 50 milioni di euro. Come si vede, Coca-Cola Hbc crede nell'Italia come non mai.

Quale direzione di sviluppo state prendendo?
Alcune volte la crescita organica interna può risultare lunga e difficoltosa e quindi preferiamo svilupparci anche attraverso l'acquisizione di realtà d'eccellenza già presenti nel nostro paese. Secondo questa logica nel 2006, insieme a Coca-Cola Italia, siamo entrati nel mercato delle acque minerali acquisendo il gruppo Fonti del Vulture. La scelta di questa acquisizione, organica alla strategia di proporre ai consumatori l'offerta più ampia nell'area delle bevande non alcoliche, è stata determinata dalle particolari qualità di queste acque e dalle capacità professionali delle persone che ci lavorano. Inoltre, per consolidare la presenza nel canale del vending, abbiamo acquisito Eurmatik, azienda che vanta una lunga tradizione nel settore della distribuzione automatica, attiva in tutti i segmenti: dalle bevande calde e fredde, all'acqua e agli snack con oltre 4.000 macchine installate.

Quale direzione di sviluppo prenderà il canale della distribuzione automatica?
È certamente un canale in grande espansione. Il nostro gruppo è entrato con l'obiettivo di giocare un ruolo da protagonista, anche sviluppando partnership di valore con altri grandi marchi di provata rilevanza per il consumatore. Siamo quindi un gruppo dinamico desideroso di sviluppare le sue potenzialità a 360 gradi.

Che impatto sta producendo l'attuale crisi dei consumi sui vostri piani?
Noi continuiamo a ragionare su programmi a 5-10 anni. Ma, indubbiamente, la pianificazione è cambiata negli ultimi anni. La forza di un'azienda al passo con i tempi è reagire ai fenomeni di cambiamento sociale ed economico con maggiore flessibilità e adattamento ai conseguenti cambiamenti di consumo e di mercato. Bisogna cioè saper pensare e programmare nel medio-lungo periodo ma saper agire nel breve, anche nel brevissimo, in modo veloce e incisivo per non perdere le numerose opportunità di business che il mercato offre.

In questo contesto sono cambiati gli strumenti di analisi?
No, non sono cambiati ma si sono molto affinati. I consumi diventano sempre più globali e aumentano le variabili da osservare. Possiamo affermare che il cannocchiale è sempre lo stesso ma le ottiche che usiamo e il modo di guardare cambiano, soprattutto perché dobbiamo lanciare prodotti globali adattandoli alle specificità di territorio.

A proposito di specificità di mercato, come sta andando l'offerta dei vostri prodotti nel canale delle tabaccherie?
In tutti i paesi, ma soprattutto in Italia, è necessario iniziare un processo di liberalizzazioni. Bisogna lasciar circolare prodotti e relativi marchi, dando l'opportunità al consumatore di trovarli quando e dove desidera. Questo porterà certamente più occupazione e ricchezza e ne risentiranno in modo positivo tutte le aziende e con loro tutto l'indotto. Proprio da questa liberalizzazione passa il rilancio dei consumi. Coca-Cola Hbc Italia ha una missione precisa: far trovare ai propri consumatori il prodotto giusto, nel posto giusto e alla temperatura giusta. È il nostro mestiere e cerchiamo di farlo al meglio, sempre. Anche nelle tabaccherie cercheremo di cogliere le opportunità che il nuovo canale ci offrirà, offrendo una chance a tutto il sistema del largo consumo.

Cambiamo canale e passiamo allora a un altro agone della crisi dei consumi: l'allontanamento dei consumatori dall'ipermercato. Qual è la sua tesi al proposito?
L'ipermercato è cresciuto come un grande “parco giochi” dei consumi. Comodo, pulito, ben organizzato, ricco di sorprese e promozioni in un ambiente elegante. E poi le gallerie: una macchina per vendere oltreché emozionare. Finché l'economia funziona e produce valore e reddito non c'è un modo più interessante per veicolare consumi, ma quando l'economia segnala momenti di rallentamento e il consumatore diventa più attento e guarda ai costi di trasferimento prima e ai prezzi poi, anche la macchina dell'ipermercato può risentirne l'effetto. In particolare in questo canale è diminuita la frequenza di visita a discapito dei volumi generati. Mi sembra che si possa parlare di una crisi del format che, forse, mi auguro si possa rivitalizzare in futuro.

Passiamo all'horeca. Secondo lei quali sono le ragioni della crisi anche di questo canale?
L'horeca è un canale complesso, con luci e di ombre. Va detto senza giri di parole che i prezzi praticati in numerose categorie sono troppo alti rispetto al servizio ricevuto. Mezzo litro di Coca-Cola mediamente costa più a Milano che a Londra. Mi sembra che le logiche e le strategie attuali abbiano appesantito un canale che è sempre stato effervescente, ma che è ultimamente meno frequentato e preferito dal consumatore.

Quest'ultima potrebbe però essere un'opportunità per le aziende e gli operatori più attenti. In che modo?
Potrebbe essere il pretesto per un ripensamento dell'intero modello di business. La nostra risposta per esempio è stata il progetto di tornare a offrire direttamente i nostri prodotti agli esercenti di questo canale. Per fare questo nel 2006 abbiamo raddoppiato la nostra rete di vendita e aperto 16 piattaforme logistiche regionali. A distanza di 2 anni serviamo oggi oltre 100.000 clienti, consegnando tutti i nostri prodotti in 24 ore. Questa straordinaria infrastruttura ci consente di portare la nostra innovazione in 50-60.000 punti di vendita in sole 2 settimane. Inoltre da questa primavera stiamo proponendo alcune referenze di acqua Lilia con il prezzo al pubblico indicato sull'etichetta.

Che risultato sta dando?
È un test, ma i primi risultati sono incoraggianti. L'horeca è un canale che non è mai stato sollecitato con la leva del prezzo. Non pensiamo sia necessario realizzare un volantino anche per i bar ma bisogna far emergere meglio il prezzo per stimolare i consumi. Come sappiamo, le tessere per i caffè e i cappuccini stanno prendendo piede. Sono uno strumento di sollecitazione e di fidelizzazione interessante. Vanno nella direzione del prezzo che, unita alla leva del servizio, possono rappresentare una risorsa. Il vostro portafoglio di brand e prodotti si allarga e si approfondisce in continuazione.

Qual è la strategia?
Non è più ampio e profondo di molte altre aziende. Il nostro business è infatti unicamente focalizzato sulla categoria delle bevande analcoliche con l'obiettivo di diventare una Total Alcool-Free-Beverage Company, leader nei segmenti in cui opera. Contando su un'iniziale forte presenza nelle bevande gassate, in questi ultimi anni ci siamo progressivamente allargati nel segmento dei tè, degli sport drink, degli energy drink e dell'acqua. La nostra ultima avventura si chiama Amita, una linea di succhi di frutta di alta qualità, che si inserisce in un segmento di mercato dalle grandi dimensioni nel quale pensiamo di portare innovazione e valore. Allora la domanda è d'obbligo.

Come si costruisce il successo dei brand che gestite?
Capacità e umiltà di capire il consumatore con un prodotto che lo soddisfi appieno. Poi ovviamente infrastrutture distributive eccellenti e un'organizzazione commerciale particolarmente efficace in grado di coprire tutti i canali per cogliere ogni opportunità. Una simile organizzazione è un costo importante - e in aumento - ma è anche un vantaggio competitivo senza paragoni. Dalla sua flessibilità e dalla sua velocità passa la capacità di essere sul mercato con un'offerta articolata come la nostra.

Quali sono in percentuale, dunque, le chiavi del successo?
Al prodotto, fine ultimo di tutta la nostra attività d'impresa, attribuisco il 50,1%, all'organizzazione commerciale il 30%, alla comunicazione il 20%. Il tutto condito con 100% di passione.

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