Per attirare i clienti non basta il primo prezzo

Periodicamente, quando i tempi si fanno duri, la distribuzione riconsidera gli assortimenti per fare pulizia e cercare maggiore efficienza. In parte è un fatto fisiologico, che caratterizza i momenti di congiuntura negativa. Se i consumatori hanno meno risorse, riducono la spesa, scelgono con maggiore attenzione al prezzo, mentre i prodotti di marca, che vivono di equilibri precari, le cosiddette seconde e terze marche, le estensioni di linea e i “me too”, entrano nell'area dei dereferenziamenti. A rafforzare questa tendenza contribuisce l'effetto dei listing fee. Nel tempo, le forzature operate per trarre vantaggio dalle richieste d'inserimento avanzate dai fornitori si accumulano e, nei momenti di congiuntura difficile, le diseconomie che  generano diventano più evidenti: le inefficienze sul lato dell'offerta superano i vantaggi su quello degli acquisti e diventa necessario riprendere in mano gli assortimenti. È successo in passato, per esempio nei primi anni '90, nel periodo d'ingresso e sviluppo del discount, e sta accadendo ora in una situazione di crisi dei consumi forse senza eguali nella storia della Gda italiana, che registra dal 2004 decrementi in termini di vendite a parità di rete, con una prospettiva di ripresa dei consumi che si continua a spostare in là nel tempo.

Una crisi diversa
Ma, come si dice, la storia non si ripete. La crisi di oggi ha caratteristiche proprie. Nel periodo segnato dall'arrivo del discount - forse l'unico momento paragonabile all'attuale - la minaccia consisteva in una “germanizzazione” dell'intero sistema e la risposta è stata immediata e chiara: l'industria di marca ha riposizionato la sua offerta e la distribuzione ha fatto lo stesso con una massiccia introduzione di primi prezzi. Oggi la situazione è diversa e la crisi è più sottile. Il discount guadagna quote di mercato, ma assai meno di quanto ci si potrebbe aspettare. L'orientamento degli acquisti verso primi prezzi e marche commerciali è già in atto e continuerà, ma tengono, e in alcuni casi prosperano, prodotti sofisticati e costosi (basta scorrere la lista delle marche vincitrici per le loro elevate performance nell'ultima edizione del Brands Award). E, allora, che strada prendere nella revisione degli assortimenti? Prezzi bassi e prodotti poveri? No, non siamo nel 1992: nel frattempo si è consolidata l'attenzione alle esperienze e alla sensorialità, si è rafforzata la ricerca del “bellessere” e della “convenience” irrinunciabile dei prodotti a valore aggiunto (le costosissime insalate pronte). Si è verificata una demassificazione dei consumi e si è scoperto il long tail, fenomeni che sconsigliano un elementare riposizionamento verso il basso e/o una mera semplificazione dell'offerta, come dimostra il fallimento dei tentativi di every day low price. Una scelta netta tra format value e premium nella Gda non funzionerà. Sono ipotesi che nascono immaginando che si possano trasferire nel despecializzato a base alimentare le stesse logiche che prevalgono per i beni più complessi, dove si fa shopping muovendosi da un punto di vendita all'altro. Nella Gda prevale ancora la concentrazione degli acquisti in una logica di procurement familiare. Value e premium devono riuscire a coesistere e le soluzioni sono più complicate. Per trovarle occorre tesaurizzare i dati sui clienti - che la distribuzione può trarre dalle carte di fedeltà, e che in molti casi ha usato poco - per definire segmentazioni di formato assai più fini.



*TradeLab

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