Reparto pescheria: lo strano caso del pangasio

È apparso sulla scena soltanto da qualche anno, ma già è diventato una presenza ricorrente, soprattutto nelle mense scolastiche e non solo...
 
Due i motivi che lo rendono particolarmente gradito ai ristoratori low profile: il prezzo supereconomico (circa 1,70 euro/kg all’ingrosso e 4,50 euro/kg al dettaglio) e il fatto che le sue carni, peraltro povere di nutrienti, hanno un sapore decisamente neutro -in pratica assume il sapore degli ingredienti con cui viene cucinato-, il che lo rende molto versatile in cucina.

Parliamo del pangasio, un pesce d’acqua dolce, simile al pesce gatto, che viene allevato nelle acque del fiume Mekong, in Vietnam, dove -grazie a ingenti investimenti effettuati da imprenditori locali- sono sorti moderni impianti di acquacoltura.

Frode commerciale e concorrenza sleale
Sfilettato e congelato presso lo stesso impianto, grazie a una efficiente rete distributiva, il pangasio viene commercializzato in ben 70 Paesi. Basti dire che rappresenta già il 3% del totale acquacoltura mondiale e il 7% del consumo in Europa, dove arriva tramite un importatore olandese.

Qual è il problema? Il fatto che decongelato viene spesso spacciato per varietà più pregiate, a prezzi di vendita decisamente maggiorati. Il che, oltre a rappresentare un caso di concorrenza sleale nei confronti di prodotti di acquacoltura con etichettatura a norma -come ben evidenziato dal Dossier Pangasio presentato a metà del 2008 ai Ministeri competenti dall'Api, Associazione piscicoltori italiani- si prefigura come una vera e propria frode commerciale. Una tentazione che ha contaminato persino alcuni pdv della gdo, canale in genere molto ligio alla normativa in fatto di etichettatura.

Come documentato dai cartellini esposti nei reparti del pesce di alcune insegne (vedi la galleria fotografica), spesso non vengono evidenziati metodo di produzione (acquacoltura) e paese di origine (Vietnam). In alcuni casi, non viene evidenziato che si tratta di prodotto decongelato, o addirittura viene spacciato come fresco, il che può indurre il consumatore a una (pericolosa) surgelazione domestica del prodotto non cucinato.

E spesso la denominazione commerciale indicata non è corretta (es. panga) o addirittura contraffatta (es. filetti di sogliola).
Casi isolati, magari già superati, in virtù del recente rafforzamento dei controlli sui prodotti ittici? Può darsi, ma il primo controllo deve venire dagli stessi retailer. Perché se un buon reparto dei freschi può fidelizzare la clientela, è altrettanto vero che un errore come questo può compromettere tutto.
Al di là del fatto che il consumatore merita rispetto, il che in prima istanza significa trasparenza.

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