Flat food: un nuovo modello di business sperimentale per la ristorazione

Una nuova formula per mangiare in modalità flat nei ristoranti. Sperimentazioni in Italia sono già presenti in Veneto ed Emilia-Romagna

Sperimentare tra sapori è da sempre una caratteristica di originalità in cucina, e non. Questa tendenza a sperimentare ed ibridare, però, parrebbe non essersi fermata a pietanze e ricette varie, ma anche aver contagiato i modelli di business. Il “Flat Food”, infatti, si inserisce in questo panorama come una trasposizione del modello di business di successo di altre industry  come la telefonia, le piattaforme streaming di film e serie TV, ecc. Su questa scia, il “Flat Food” comporta una “flat rate tariff”, una tariffa forfettaria, dietro pagamento della quale il cliente può mangiare quanto volte desidera nel corso del mese. Si tratta di un tentativo di fidelizzare i clienti, assicurandosi un’entrata fissa prepagata, che vuole intercettare i nuovi trend di consumo, ed anche tentare di essere “trend setter” proponendo una formula nuova per il settore, sperando di emulare il successo ad esempio di altre formule come quella “All you can eat”.

Volendo ipotizzare la risuscita di questa sperimentazione sulla base dei dati, è possibile fare riferimento al rapporto Fipe (Federazione italiana dei pubblici esercizi) 2019, che ci offre un close-up della ristorazione italiana. Da questi dati emerge che, nonostante la crisi, gli italiani hanno speso sempre di più per mangiare fuori casa, rispetto alle tante rinunce fatte in altri settori. Infatti, in 10 anni l'incremento reale dei consumi al di fuori casa è stato del 5,7%, pari a 4,9 miliardi di euro. Una cifra, quest’ultima, che nel 2019 è salita a 8,9 miliardi di euro. Questa performance consente al mercato italiano della ristorazione di posizionarsi al terzo posto come più grande in Europa, dopo quelli di Gran Bretagna e Spagna e ha ricadute positive sull'intera economia italiana e in particolare sulla filiera agroalimentare.

L’intraprendenza pare essere, quindi, una comprovata qualità della ristorazione italiana, dove, al momento, sperimentazioni del Flat Food possono trovarsi in Veneto ed Emilia Romagna. È il caso, ad esempio, del ristorante Weedoo di Limena in provincia di Padova (https://www.weedoo.it/regolamento-flatfood/) che propone, in fase sperimentale per i prossimi sei mesi del 2020 - eventualmente estendibili,  ai clienti 149 euro al mese per mangiare a volontà. Simile esperimento di “Flat Food” nel ravennate presso il ristorante “Gabarè”, dove lo chef Ciro Adamo ha proposto un tariffario flat specifico per le esigenze di singoli e famiglie per colazione, pranzo e cena. Lo stesso Ciro Adamo specifica che “l' abbonamento mensile costerà intorno ai 220-240 euro. Ciò significa 7,33 euro al giorno. L'abbonamento per la pausa pranzo, invece, 120 euro. Previste agevolazioni per studenti e famiglie: il pacchetto con due adulti e due bambini sarà di circa 400 euro al mese”.

Si aprono diversi scenari a partire da queste sperimentazioni. Dal punto di vista del business è evidente che si fa leva su prospettive di un’entrata fissa e sulle probabilità statistiche che i clienti non verranno 7/7 giorni pranzi e cena. Si pone, però, prepotentemente la questione della qualità del cibo proposto a prezzi troppo bassi, rischiando, nel caso peggiore, di far retrocedere de facto un ristorante ad una mensa per cercare di rientrare nei costi. Sarà possibile affiancare all’intraprendenza di questa nuova formula “Flat Food” anche qualità e sostenibilità? La questione rimane aperta e nei prossimi mesi si potranno fare bilanci più accurati al riguardo.

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