Come attrarre i capitali esteri: la posizione di Confindustria

Italia fanalino di coda tra i paesi europei in termini di presenza di investitori stranieri. Cause e soluzioni proposte dalle imprese internazionali della distribuzione e dell'industria presenti nel Paese. In un convegno di Confindustria del 12 aprile 2012 sono state illustrate le ricette per poter richiamare i capitali esteri.
Quattro numeri in escalation
impressionante possono spiegare
perché l'Italia ha bisogno degli
investimenti delle imprese estere
sul suo territorio. E soprattutto
in una fase economica in cui
il problema potrebbe essere
addirittura non solo quello di
attrarre nuovi capitali, ma di
convincere a restare qui quelli
che già ci sono. Ma veniamo
alle cifre: le imprese medie e
grandi, controllate da stranieri,
rappresentano lo 0,3% del
totale; gli addetti però sono il
7% dell'universo considerato,
il valore aggiunto il 12,6% e la
spesa in ricerca e sviluppo tocca
addirittura il 24,5%.
Sono i numeri fondamentali
dell'analisi compiuta da
Confindustria e dagli Investitori
esteri associati in Confindustria
per presentare la ricerca “Più
mondo in Italia”. L'operazione
ha coinvolto alcuni tra i più
importanti country manager di
aziende multinazionali che ci
hanno messo direttamente la
faccia per presentare una serie di
proposte per rendere il Paese, per
definizione più bello del mondo,
anche un po' più attrattivo per chi
vi vuole arrivare non per turismo,
ma per restarvi a fare affari.

Investimenti in calo

Ma da questo punto di vista,
l'Italia negli ultimi anni ha
decisamente perso appeal e
sono ancora una volta i numeri
a parlare chiaro: tra il 2005 e
il 2011, sono entrati ogni anno
nel nostro Paese investimenti
stranieri per 22 miliardi di dollari
contro i 61 della Francia e i 116
della Gran Bretagna.
In Italia, l'incoming valutario ha
rappresentato uno striminzito 1%
del Pil, nel Regno Unito il 4,8%.
Se si esaminano i flussi
transnazionali worldwide di
investimenti, le cifre appaiono
ancora più allarmanti; nella
media 2007-2001 (quinquennio
che ha visto nel mezzo una
recessione globale), gli
investimenti sono ammontati
nella media a 7.968 miliardi
di dollari; il 32% è andato in
Europa, ma solo l'1,2% in Italia;
nel quinquennio 2002-2004,
gli investimenti erano di 4.171
miliardi di dollari: il 47% veniva
convogliato in Europa e il 2%
in Italia: significa che il Vecchio
continente ha perso circa
un terzo della sua attrattività
e l'Italia il 40%, non riuscendo
neppure a registrare aumenti di
flussi in valuta corrente.

Pochi capitali
Infine, altri due dati che, s
e vogliamo, aggravano ancora
la situazione: per gli stranieri
di fatto esiste solo una regione,
la Lombardia, che da sola attrae
il 44,7% dei capitali; un altro
26,8% è ottenuto in totale
da Lazio (16,3%) e Piemonte
(10,8%), al resto d'Italia
rimangono le briciole
e in particolare, Sud
e isole raccolgono
complessivamente il 4%.
La seconda cattiva notizia
è la qualità non eccelsa
degli investimenti:
tra il 2007 e il 2010, in Italia
sono avvenuti solo 18 operazioni
greenfield (cioè con creazione
ex novo di una società),
ogni milione di abitanti, a
fronte degli 80 del Regno Unito.
Inoltre, dei nuovi investimenti
solo 8 sono classificabili come
operazioni di elevato profilo,
cioè con insediamento di un
headquarter, sdi una struttura
di formazione e di una divisione
R&S. Come uscire da questa
impasse? Con una serie di
provvedimenti mirati,
non onerosi per le disastrate
casse dello Stato e che
oltretutto andrebbero a beneficiodel sistema economico in
generale.

Burocrazia

Un primo aspetto su cui
intervenire è la burocrazia:
troppo lunghi e farraginosi
i processi autorizzativi e in
generale, troppo complicato
il rapporto con la macchina
amministrativa. Sami Kahale,
ad Procter&Gamble (in foto) ha
illustrato una serie di proposte
per migliorare il rapporto con
la PA (vedi anche Mark Up
di maggio). In particolare,
si propugna la creazione di
un'Agenzia nazionale con la
responsabilità di attrazione e
di accesso alle informazioni
sulla realtà italiana. Un ente
con un compito esattamente
speculare a quello che aveva
l'Ice, chiamato a occuparsi di
internazionalizzazione delle
imprese italiane, e che dovrebbe
funzionare come una vera e
propria conferenza di servizi
(sul modello di quelle che, in
genere, si attivano tra Stato
e regioni, o Regioni ed enti
locali), offrendo all'investitore
un unico tavolo di negoziazione
e una maggiore certezza sull'iter
autorizzativo. La struttura
potrebbe avvalersi, per la
localizzazione degli investimenti,
di una rete regionale, mettendo
così le regioni in competizione
tra loro, con la pubblicazione
periodica sui principali media
della classifica delle regioni più
attrattive con i risultati raggiunti.

Fisco e lavoro

La pressione fiscale ormai in
Italia è tale per cui chi potrebbe,
scapperebbe volentieri all'estero;
difficile pensare di attrarre
così gli stranieri, che peraltro
appaiono più disincentivati dalla
complessità della normativa che
dall'entità delle aliquote.
E su questo pone l'accento
Nicola Ciniero, presidente e
ad IBM, che tra l'altro propone
di semplificare e armonizzare
normativa fiscale su attività
crossborder, sottolineando
come, oggi, sia pressoché
impossibile valutare a priori
l'onere fiscale delle operazioni,
soprattutto perché all'investitrice
spetta l'onere della prova sulla
credibilità commerciale della
scelta, in mancanza della quale
l'operazione potrebbe essere
considerata elusiva.
Inoltre, la normativa attuale
prevede sanzioni gravi, che
spesso debordano nel penale,
per soglie dimensionali di
irregolarità relativamente basse
e facilmente superate da aziende
medio-grandi come quelle
internazionali.
Ciniero si è occupato anche
di flessibilità del lavoro,
segnalando la necessità non
solo di rendere più flessibile
l'ingresso e l'uscita dei lavoratori
e soprattutto rendendo meno
complesso il trasferimento di
personale qualificato tra sedi
operative in Italia e all'estero.
Basti pensare che un ingegnere
proveniente da un Paese extra
UE è soggetto al medesimo iter
per il permesso di soggiorno di
personale non qualificato.

La scuola

Altro problema, che riguarda
le imprese tout court e non
solo quelle internazionali, è lo
scollamento tra scuola e lavoro
e tra curricula ed esigenze
della aziende. Queste, ad
esempio, chiedono ingegneri e
i giovani si laureano in lettere
o in scienze politiche. Pietro
Guindani
, presidente Vodafone
Italia
, propone una partnership
imprese-atenei per migliorare
il profilo dei laureati. Ma non
solo: i progetti dovrebbero
anche coinvolgere le scuole
secondarie, promuovendo la
diffusione dell'istruzione tecnica
per migliorare l'avviamento
al lavoro degli studenti sin
dall'ottenimento del diploma.
Ricerca
Le imprese straniere presenti
in Italia, come abbiamo visto,
destinano, anche per il fatto
di essere multinazionali e
quindi vocate per natura alla
innovazione di prodotto o di
servizio, una quota rilevante di
fatturato alla ricerca.
Maria Elena Cappello, ad
Nokia Siemens Networks, rileva
la necessità, anche questa
fondamentale a prescindere per
qualsiasi azienda dimensionata,
di incentivare la ricerca. Questo
si può ottenere semplificando
e rendendo più certi i requisiti
per ottenere gli incentivi e la
riduzione dei tempi necessari
per ottenerli. Una prima strada
consisterebbe nell'armonizzare
le leggi in materia di ricerca e
innovazione gestite dai Ministeri
e dalle Regioni adeguandosi alla
normativa europea, a sua volta
in via di semplificazione.

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