Contro i racket per gli imprenditori, formazione ed espulsione da Confindustria

La mafia è, di fatto, una grande holding company con un fatturato complessivo di circa 130 miliardi di euro e un utile che sfiora i 70 miliardi, al netto degli investimenti: il solo ramo commerciale della criminalità mafiosa (e non) ha superato i 92 mld/euro. Sono dati tratti dal Rapporto 2008 di Sos Impresa (Confesercenti), associazione nata a Palermo nel 1991 e ora radicata in tutta Italia.

Videosorveglianza
Per quanto sia infiltrata, sia a livello nazionale sia internazionale, in ogni area e attività economica, è comunque nel mezzogiorno che la mafia, nelle sue denominazioni di 'ndrangheta, camorra e sacra corona unita, è maggiormente radicata. E la battaglia per rompere i legami tra la criminalità organizzata e il tessuto imprenditoriale, a partire dall'espulsione da Confindustria (come dichiarato dalle associazioni industriali di Sicilia e Calabria) comincia ad assumere aspetti qualitativi. A questo si aggiungono le diverse iniziative di carattere amministrativo, come per esempio, quella messa incampo recentemente dalla Sicilia, che ha deciso di realizzare corsi di formazioni antiracket -obbligatori per chi decide di avviare una nuova attività- per gli imprenditori. “In questi corsi -dice a a Gdoweek Roberto Di Mauro, assessore regionale alla Cooperazione e al Commercio- si insegna la legislazione antiracket, mettendo in grado, tra l'altro, di conoscere le diverse attività e come comportarsi in caso di richiesta del pizzo. Accanto a questo abbiamo anche previsto finanziamenti per la videosiveglianza, strumento utile per uscire dal ricatto mafioso. In Sicilia si respira realmente aria nuova”.

Confronti in calabria
A livello di proposte, in Calabria, Francesco Sulla, assessore regionale alle Attività produttive- vorrebbe introdurre, una volta appurato il coinvolgimento dell'azienda nella dazione alla criminalità organizzata, l'esclusione della stessa da gare d'appalto, bandi di finanziamento pubblico e la sospensione temporanea dei permessi dell'attività. “In questo modo -spiega Sulla a Gdoweek- si tutela l'imprenditore colpito dal ricatto della 'ndrangheta e, in più, si darebbe una motivazione economica alla volontà di non pagare il 'pizzo' per il rischio generale di mettere in crisi l'attività e quindi giustificare il rifiuto. Si tratta di proposte su cui, a breve, ci confronteremo con Confindustria”.

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