(da Gdoweek 15/2021, 1 ottobre, pagg. 6-16)
La distribuzione organizzata si è dimostrata un modello vincente in questi ultimi anni, confermando questa sua vitalità anche nell’era della pandemia. Segno di una capacità di adattamento ai cicli economici e all’evoluzione del mercato attraverso punti di vendita moderni, attività e nuovi business, che costituisce una base importante sulla quale innestare i processi di innovazione. Questa è l’impressione che si ricava dai protagonisti del mercato. Ha ancora senso, allora, parlare di un modello retail per la distribuzione organizzata?
Mediobanca, nel suo Osservatorio annuale, la indica come una delle realtà più dinamiche del panorama italiano, con performance di rilievo in generale e di dinamicità e rispetto in riferimento ad alcune realtà locali (i famosi campioni nascosti … in tutta Italia).
Per molti si tratta di una definizione ormai superata (specialmente se si parla con il consumatore), convinti che ciò che conta oggi siano il valore dell’insegna e la validità e coerenza del format di vendita; per altri ha senso solo con certi fornitori. Altri ancora credono che … c’è ben altro a cui pensare (i discount!). Abbiamo allora chiesto a manager di centrale e imprenditori di dirci cosa ne pensano.
20, le aziende famigliari della d.o. con un fatturato superiore al miliardo di euro
20,6 mld €, il fatturato aggregato dei primi 20 operatori della d.o.
5,9%, la crescita media
del fatturato nel 2019
(fonte: Osservatorio Mediobanca 2021)
Giancarlo Paola, direttore commerciale di gruppo Unicomm (Selex), fa riferimento ai suoi 30 anni di esperienza. “In passato, quando ho iniziato a lavorare in questo mondo vi era una più netta distinzione tra una gd particolarmente strutturata e una d.o. poco organizzata. Ma in questo lungo periodo, la crescita dimensionale di quelle che una volta erano catene famigliari e localizzate in piccoli territori, ma soprattutto la forte evoluzione dei modelli organizzativi, ha annullato la maggior parte delle differenze tra i due modelli”. Quelle che rimangono, sottolinea “possono ancora fare la differenza a vantaggio delle ex-d.o.”. Su cosa devono puntare queste aziende per restare competitive rispetto alle grandi catene? Per Paola la priorità è non rinunciare ai tratti caratteristici della d.o. “Mi riferisco alla profonda conoscenza dei territori, alla capacità di diversificare le strategie commerciali in base ai bacini e a distintività in alcuni reparti”. Partendo dalla tradizione, la sua indicazione è di focalizzarsi su capire i progetti che vanno implementati all’interno della propria organizzazione e quali a livello locale. “Un esempio pratico: noi in Selex abbiamo ritenuto, cinque/sei anni fa, che la sfida dell’eCommerce e di altri progetti innovativi andassero fatti insieme, per farli meglio e prima. I fatti dicono che sono state scelte giuste”, spiega, sottolineando l’importanza di accelerare sul terreno dell’efficienza: “Molte delle aziende multiregionali sono cresciute per acquisizioni e necessitano di piani di integrazione”.
Secondo Elpidio Politico, Ad di Sisa Centro-Sud, è sbagliato identificare la d.o. come categoria unitaria, dato che al suo interno vi sono operatori con caratteristiche e formule organizzative diverse. “L’associazione in gruppi ha lo scopo di trarne vantaggi grazie a un maggiore potere contrattuale nei confronti del fornitore e a una maggiore riconoscibilità del brand, senza contare i servizi forniti, dall’assistenza fiscale alla formazione del personale, sia quello in negozio, sia per chi lavora in back-office”, sottolinea il presidente, che snocciola altri elementi a favore di formule aggregate come un vasto assortimento, prezzi competitivi e politiche promozionali comuni. “Questo deve essere accompagnato da una continua innovazione in store e nuovi servizi, soprattutto in questo periodo, con l’emergenza sanitaria che ha profondamente modificato le abitudini dei consumatori, come dimostra la diffusione dell’eCommerce, che ha cambiato il volto del commercio di prossimità”, sottolinea Politico, secondo il quale è necessario puntare su nuovi format, prediligendo lo specialistico e dando rilevanza alle mdd soprattutto nei reparti freschi.
Che la pandemia abbia ridisegnato, almeno in parte, la dimensione del retail anche in Italia è un fatto da sottolineare anche per Barbara Gabrielli, direttore comunicazione di Gruppo Gabrielli, che afferma: "Le aziende della d.o. hanno colto questo cambiamento come un'opportunità e sarà la strada maestra da percorrere per attuare un nuovo sviluppo. Dal momento che la modernizzazione del retail si basa su due asset fondamentali -il punto di vendita fisico e quello virtuale- entrambi devono avere uno sviluppo in grado di coniugare le mutate esigenze dei consumatori. L'obiettivo delle aziende della d.o. deve quello di investire in ricerca e innovazione soprattutto ora.
Prospettive differenti, ma considerazioni per molti versi simili vengono fatte da Eleonora Graffione, presidente di Coralis, 20 imprese presenti in tutte le declinazioni distributive. “Sicuramente la d.o. si sta confermando un modello vincente, tanto che la nostra scelta è stata di puntare sulla contaminazione di insegne diverse, dislocate in zone differenti dello Stivale e con peculiarità proprie”, sottolinea. Per queste realtà imprenditoriali, a cui non viene sottratta l’identità, è fondamentale avere alle spalle una distribuzione organizzata che permette loro di essere competitivi da un punto di vista commerciale, di aggiornamento/formazione, di visione a 360 gradi sul mercato. “Questo perché la loro competitività a livello di preferenza da parte dei consumatori se la sono conquistata proprio con la conoscenza del territorio, delle aziende locali e delle persone”, aggiunge. Quali, allora, gli asset sui quali lavorare per tenere il passo dei cambiamenti in atto? “Servizio, qualità, conoscenza, accoglienza, relazione non devono mai mancare per rafforzare l’identità dei negozi di vicinato che acquistano quote di mercato anche, e forse soprattutto, per questi aspetti”, sottolinea Graffione, che, allo stesso tempo, non nasconde le debolezze del settore. “Penso, in particolare alla gestione degli assortimenti, all’eccessiva localizzazione e all’incertezza del futuro, elementi che in realtà di piccole/medie dimensioni pesano più che altrove”.
Marco Bordoli, Ad di Crai Secom, aggiunge nuovi elementi. “Il modello retail attiene più a un concetto per noi addetti ai lavori, che può portare a perdere di vista il focus importante della distribuzione …che sono i clienti. Le persone non scelgono più in base a un tipo di format specifico, bensì basandosi su altri parametri, come la qualità e il value for money che l’insegna esprime, per i servizi che un negozio offre, per la professionalità e la competenza del personale”, sottolinea. Di conseguenza il retailer locale a gestione familiare deve essere competitivo su tutti questi fronti avendo, ad avviso di Bordoli, molte chance per poter fare la differenza qualitativa “A partire dal rapporto personale, dal servizio, dall’impegno sociale che sviluppa nel territorio in cui opera, dall’identità assortimentale che viene anche dai prodotti locali, dal marchio che rappresenta”. In concreto il potenziale ulteriore di queste imprese della d.o. può essere sviluppato a patto di riuscire a dominare i nuovi sentieri del digitale, per conquistare le nuove generazioni che compiono buona parte degli atti quotidiani in rete. Quanto ai fattori critici, secondo il manager non riguardano solo la d.o.. “Al primo posto viene indicata la difficoltà nel mettere a terra nel modo più univoco e coordinato possibile le varie iniziative che il brand retailer nazionale definisce”. Questo per dare ai consumatori la stessa store experience anche in presenza di una rete di pdv particolarmente diffusa.
Le dimensioni aziendali, quindi, continuano a contare. Sul tema, Giorgio Santambrogio, Ad di gruppo VéGé, è netto: “Non c’è più spazio per le piccole dimensioni, cioè per chi all’interno ha i Cedi e non supera i 40-50 milioni”. Una convinzione che gli deriva dalla consapevolezza dei “costi da affrontare, dalle complessità legate alla supply chain”. Il futuro, allora, rimane all’insegna dei grandi? No, è essenziale preservare l’autonomia a livello locale. “I gusti e le esigenze cambiano non solo da una macroarea all’altra, ma a volte persino nella stessa regione -sottolinea Santambrogio-. E nel modello imprenditoriale associato l’autonomia è decisiva. E le centrali non dovrebbero standardizzare eccessivamente l’offerta degli imprenditori in un quadro di autonomia nelle regole”, precisa.
Per Valter Geri, presidente del Consorzio Conad, gli imprenditori del commercio associato “stanno diventando sempre più anche dei bravi venditori: non sono solo interessati a comprare alle migliori condizioni”. Si è compreso che la relazione con i clienti fa la differenza più che in passato e il prezzo conveniente non è più la sola leva su cui puntare. “Altrimenti si fa il gioco dei grandi discount, nazionali e internazionali”, precisa. Mettere il consumatore al centro è una priorità da perseguire senza esitazioni adottando una visione più ampia. “Oggi il cliente, nonostante la crescita dell’eCommerce, cerca una relazione personale con chi gli dà la spesa, meglio se inserita in un rapporto di fiducia di lunga durata con una insegna -racconta-. In questo senso, i retailer locali assicurano spesso la relazione personale, ma non possono dare quello che offre una insegna, cioè assortimento, organizzazione, convenienza e offerte”. Da qui la convinzione che sia necessario assicurare relazione personale e organizzazione da leader. “Chi non è in grado di offrire questa doppia garanzia al cliente penso faccia più fatica”, aggiunge Geri, per il quale l’incremento della competitività passa per investimenti sulle caratteristiche fisiche del punto di vendita, in modo da soddisfare al meglio le nuove esigenze della clientela. “Tra le debolezze cito la scarsa formazione manageriale, associata al dinamismo e all’energia imprenditoriale. Un imprenditore deve studiare e da solo non è facile farlo”, sottolinea Geri.
Secondo Pippo Cannillo, presidente e Ad di Maiora Despar Centro-Sud, la distinzione tra g.d. e d.o. ha perso di efficacia nel tempo, oltre che di capacità interpretativa del mercato. “Anno dopo anno crescono le aziende con modelli di business ibridi, che non rispondono più alla nomenclatura classica. Molte aziende che un tempo erano puramente succursaliste, si sono aperte al franchising (addirittura con formule master), con il conseguente affievolimento del controllo della rete al dettaglio che una volta era lo spartiacque fra i due modelli”, racconta, che ricorda anche come molti grossisti degli anni Novanta nel tempo abbiano spostato il loro baricentro sul dettaglio, spesso con risultati migliori di quelli delle aziende g.d. alle quali si sono ispirati. “A mio parere, se valutati in base al parametro della ‘purezza’ della formula commerciale e del controllo della rete, sono i discounter la nuova g.d.”, aggiunge. Quali gli asset sui cui lavorare? "Focalizzarsi sul valore del brand e sulla coerenza della formula commerciale per avere una visuale più ampia -precisa Cannillo-. Le insegne locali diventano lovemark e hanno risultati di gran lunga superiori a pachidermiche multinazionali, con le Caporetto (o, meglio, le Waterloo) avvenute e quelle annunciate. Alcune aziende ‘locali’ lo hanno capito e si proiettano nel futuro con slancio e ottimismo, mentre le altre ritengo potrebbero andare incontro a crescenti difficoltà”.
“Completezza, semplicità e velocità nel trovare ciò di cui si ha bisogno, competenza e autorevolezza degli interlocutori sono tutti elementi da sempre parte integrante della d.o., proprio per la sua struttura imprenditoriale -precisa Alessandro Camattari, direttore commerciale e marketing di D.IT.-. Richieste come quelle di maggior vicinanza al territorio, conoscenza e valorizzazione dei localismi, sostegno al tessuto economico e sociale, capacità di rispondere tramite l’innovazione a una nuova domanda, si sono manifestate già prima della pandemia e definiscono un modello di impresa più naturale per le imprese regionali. Del resto fare impresa per un retailer regionale vuol dire conoscere il tessuto economico di riferimento ed essere in grado di modellare di conseguenza la propria offerta, ovvero coltivare l’efficacia della propria azione, anche a discapito di una efficienza di breve periodo. La debolezza, di conseguenza, può derivare dall’elemento dimensionale; per questo la sfida per le imprese regionali sta nella ricerca di un equilibrio tra questi elementi".
"In un mercato che vede una gd forte in Area 1 e 2 e una d.o. che ben presidia le Aree 3 e 4 in aperta concorrenza con i discount che crescono a doppia cifra, credo che nei prossimi anni ci sarà spazio solo per imprese regionali e interregionali, con un controllo stretto della rete diretta, una corretta redditività al mq, una specializzazione in un solo canale e una brand identity ben definita -chiarisce Giovanni Arena, dg di Gruppo Arena e presidente di VéGé-. Le aziende famigliari del retail con i loro imprenditori sono gli interlocutori adatti per interpretare in maniera veloce i nuovi bisogni dei clienti in termini di vicinanza ai territori, convenienza, digitalizzazione e omnicanalità, a patto di crescere come aziende singole e gruppi organizzati, per razionalizzare assortimenti e mdd, mainstream e premium. Certo non si possono presidiare tutti i canali: non si può essere ugualmente bravi in tutti i format, si deve scegliere e specializzarsi per non disperdere energie preziose ma avvantaggiarsi delle economie di scala".
BOX: Centrali in evoluzione
In uno scenario di transizione come quello attuale con cambiamenti strutturali per l’eccezionalità della fase storica, anche le centrali della d.o. stanno cambiando ruolo?
Per Elpidio Politico/Sisa Cento Sud, oltre a gestire il contratto fornitore e le condizioni commerciali, il compito delle centrali oggi è quello di concentrarsi su una serie di servizi tra cui l’analisi e la creazione di nuovi format di vendita e innovazione verso il nuovo canale digital.
Se cambia lo scenario, le centrali devono trasformarsi. “Devono avere compiti di servizio sui progetti”, precisa Giorgio Santambrogio/VéGé, dato che ormai negoziazione e contratti siano appannaggio di supercentrali. Il focus deve spostarsi sulla necessità di ricercare economie di scala “sulle attrezzature, la telefonia, l’energia, le assicurazioni e i materiali di consumo, oltre che sulla formazione e sulle mdd. Questo significa che c’è poco spazio per le centrali autoriferite: funzionano quelle che offrono servizi a valle, se garantiscono un valore aggiunto agli imprenditori”.
"Oggi servono centrali dinamiche, la cui mission sia quella far diventare più grande e solido il gruppo e sempre più specializzati i retailer che ne fanno parte -aggiunge Giovanni Arena/Gruppo Arena e presidente VéGé-. Penso che l'evoluzione delle centrali, almeno della nostra, sia quello di diventare un club per pochi in grado di sostenere aziende famigliari di medie dimensioni nei loro processi di crescita e di affermazione sul territorio".
Per Marco Bordoli/Crai Secom, le centrali stanno passando da un modello prettamente acquisto centrico a uno basato su un concetto multiservizi, dove il ruolo del marketing (che ha come priorità principale il creare valore per il proprio brand) è diventato ormai di importanza strategica assoluta.
Eleonora Graffione/Coralis non vede un cambiamento strutturale della loro ragion d’essere, ma un’evoluzione del loro modus operandi per adeguarlo all’evoluzione tecnologica. “L’obiettivo prioritario della centrale rimane la gestione del contratto fornitore e il catalogo prodotti per categorie con la relativa struttura di gamma merceologica. Questo per garantire una maggiore trasparenza nelle trattative, prezzi d’acquisto migliori, certezza nei pagamenti e un flusso costante nelle forniture, un ruolo che le centrali hanno costruito nel tempo e resta valido oggi e domani”.
"È finito il tempo delle centrali ‘strabiche’, in cui la negoziazione fra partner o potenziali tali assorbe spesso energie maggiori rispetto a quelle dedicate a negoziare con i fornitori -sottolinea Pippo Cannillo/Maiora Despar Centro Sud-. Il modello emergente è quello di centrali responsabili, consce del proprio ruolo sociale oltre che economico, rilevanti più per la loro autorevolezza che per la loro dimensione. E l’autorevolezza si costruisce con il tempo, con coerenza e capacità di fare squadra, requisiti rari in un mondo in cui le alleanze sono spesso artificiali e di breve periodo”, conclude.
Giancarlo Paola/Unicomm Selex ritiene che il loro posizionamento sia fortemente legato ai modelli di business adottati a livello di gruppo. “Nel nostro caso, man mano che i soci sono cresciuti in dimensione e strutture organizzative, in centrale si è scelto di sviluppare progetti innovativi, soprattutto affiancando le aziende nell’implementazioni di pratiche eccellenti. Detto questo, deve essere chiaro che la prima attività delle centrali deve riguardare lo sviluppo di una mdd secondo un modello in continuo miglioramento, qualitativo e innovativo, nel rispetto delle nuove tendenze di consumo”.
“Credo che il ruolo della centrale diventi sempre più importante, per centralizzare gli indirizzi strategici e allo stesso tempo garantire la decentralizzazione delle azioni nel pieno rispetto delle identità e del legame dei soci con il territorio -spiega Alessandro Camattari/D.IT.-. Qualche esempio dei compiti della centrale: sviluppare sinergie di marketing per far emergere gli elementi di differenziazione dai competitor, garantire l’efficienza nello sviluppo di progetti comuni di innovazione, come l’eCommerce o la definizione di nuovi format distributivi. Leggere velocemente i cambiamenti del mercato e adoperarsi perché i soci li interpretino correttamente, fare da garante per i soci nei confronti dell’industria, rappresentare la risposta alle richieste che provengono quotidianamente dalle periferie”.
"Anche le centrali sono impegnate in un processo di riorganizzazione con la definizione di nuovi e importanti obiettivi -spiega Barbara Gabrielli/Gruppo Gabrielli-. Sono anche un importante “luogo” di condivisione di esperienze da parte delle aziende della d.o., un patrimonio di conoscenze sulla quali si potrà fondare il futuro stesso non solo delle centrali ma anche delle aziende che nel fanno parte".