Da chef a professionisti della gdo

foto generica ristorazione
Il mercato retail ha bisogno di figure tecniche preparate adeguatamente e con un elevato tasso di versatilità per una gestione dinamica. Per questo serve una formazione specifica tramite corsi finalizzati

 

Quando si parla di cucina e professionalità, per associazione di idee arriva alla mente la figura dello chef: un professionista del settore della ristorazione dotato di conoscenza, esperienza e capacità di leadership utili alla gestione strategica ed operativa di una brigata di cucina. Complice la variegata offerta televisiva degli ultimi decenni, in cui si propone la cucina del ristorante come ambiente ideale per trasformare la propria passione personale in professionalità, la figura del cuoco resta ancorata alla ristorazione commerciale come possibilità privilegiata di occupazione e sviluppo della propria carriera professionale. Sebbene tale associazione di idee sia estremamente automatica, non è in alcun modo assoluta.

Esistono altre declinazioni del concetto di ristorazione e questo presuppone l’esistenza di figure che abbiano una formazione in linea con le richieste del mercato: un cuoco può ben conoscere prodotto e processo e tecniche della ristorazione commerciale. Non è scontato che conosca allo stesso modo prodotti, processi e tecniche dedicate alla distribuzione moderna o alla ristorazione collettiva.

Cosa serve dunque a trasformare la tradizionale figura del cuoco in quella del nuovo professionista della gdo? L’attuale trend di mercato, sempre più orientato verso la crescita del settore della gastronomia e del delivery, spinge i retailer e le aziende a richiedere, con crescente insistenza, figure dotate di specifiche capacità e conoscenze professionali. La domanda allora è: esiste una formazione di valore dedicata a questo tipo di profili altamente tecnici? E, ancora, esiste interesse in termini di realizzazione di carriera? Quali le difficoltà che caratterizzano la realizzazione di questa necessaria trasformazione?

Il primo punto da affrontare è quello relativo alla mancanza di una reale e adeguata valorizzazione delle figure tecniche, ovvero quelle riconducibili alla definizione di uomo artigiano coniata da Richard Sennett: si tratta di coloro che per rendere onore alla propria soddisfazione personale e professionale, sono alla continua ricerca del lavoro ben fatto, eseguito a regola d’arte, con intelligenza e sapienza, alla scoperta di come la sinergia tra conoscenza teorica e pratica possa davvero restituire valore e saggezza a individui e società, attraverso ciò che la scienza ci insegna e la società ci chiede.

In altre parole, e per restare nel nostro campo di interesse, si tratta del cuoco pensante proposto da Gualtiero Marchesi: il cuoco che con sapienza conosce prodotto e tecniche di cucina, ma che sa anche gestire le situazioni, utilizzando pensiero critico e consapevolezza pratica, rivalutando il proprio punto di vista su procedure standard assodate per declinarle in favore di necessità di gestione contemporanee. In entrambi i casi si tratta di quelle figure professionali il cui approccio tende alla perfetta professionalità, contrarie all’atteggiamento del “basta che sia fatto” o all’estrema approssimazione con cui spesso proprio chi lavora in questo settore si è trovato a confrontarsi.

A questo tema se ne aggiunge un altro: ad oggi, in Italia, non esistono percorsi formativi dedicati che siano in grado di soddisfare le reali necessità del mercato e della richiesta di figure tecniche per la gdo. Altri Paesi limitrofi, come Svizzera e Germania, hanno capito da tempo l’importanza di percorsi formativi dedicati: ne sono un esempio i corsi post-diploma degli istituti tecnici superiori che propongono percorsi altamente professionalizzanti organizzati secondo un modello didattico di formazione specialistica ed esperienza di azione. Alcune realtà aziendali italiane già propongono corsi specifici, come alcune catene della gdo che cercano di costruire le proprie Academy, ma tali lodevoli iniziative rischiano di essere limitate a quella realtà aziendale specifica: il bisogno di formazione è relativo alla creazione di percorsi che siano certo molto tecnici, ma anche estremamente versatili in termini di spendibilità di mercato e che vadano oltre quanto acquisibile in contesto specifico.

Per questo sarebbe importante sostenere una formazione più adeguata e specifica investendo in corsi adeguati, tramite Fondazioni ITS. Grazie, infatti, anche al Pnrr (il Piano nazionale di ripresa e resilienza) sono stati messi in campo per gli ITS 1,5 miliardi di euro, per far sì che questi Istituti Tecnici Superiori diventino centrali nel sistema educativo ed economico.

Quali sono dunque le leve su cui la proposta formativa potrebbe basarsi per agevolare la trasformazione di professionalità nuove in linea con le esigenze di mercato?

Ecco il nostro elenco:

  • sviluppo di competenze solide, basate su ciò che si potrebbe definire lo starter pack del professionista della gdo, ovvero le tecniche operative di base legate ai diversi ambiti merceologici;
  • modalità di servizio, tecnologie di conservazione del prodotto, legami di produzione;
  • conoscenza del prodotto in termini di stagionalità, regionalità & territorio, tipologia di modelli produttivi specifici, protocolli igienico sanitario;
    sviluppo di competenze sociali orientate alla relazione triangolare tra risorsa professionale-cliente-prodotto;
  • acquisizione di conoscenze di visual merchandising;
  • acquisizione di conoscenze utili a misurare brand sentiment ed efficacia di un prodotto rispetto a un predeterminato mercato per poter riportare in maniera costante feedback alla direzione, utili per prevedere le migliori scelte commerciali.

La proposta di percorsi formativi di questo genere ha una duplice finalità: da un lato, ridare dignità a quei profili professionali di cui la maggioranza delle aziende ha un crescente bisogno; dall’altro, garantire un maggiore ritorno qualitativo a retailer e cliente in termini di fidelizzazione con un’azione di customizzazione continua.

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