“Non mi paghi le fatture? E io lo scrivo su Facebook”
Ce lo segnala l’avvocato Stefano Comellini attraverso Linkedin mettendoci a parte di una sentenza del Tribunale di Roma destinata a far parlare di sé. Infatti, il caso pur essendo stato sollevato dall’inadempiente, che si era sentito diffamato, si è risolto con una sentenza che, non solo non gli dava ragione, ma lo condannava anche al pagamento delle spese legali. Inoltre, Comellini puntualizza che: “Si tratta, probabilmente, di una delle prime sentenze che applica l’art. 21 della Costituzione alle manifestazioni di pensiero in rete”. Su quest’onda ci avvaliamo ancora di Comellini per condividere un analogo fatto accaduto però in Uk, dove un avvocato tifoso del Chelsesa ha insultato in Tv i tifosi avversari. Il titolare dello studio in cui lavorava non solo ha preso le distanze dalle dichiarazioni del dipendente/tifoso, ma l’ha licenziato con la stessa moneta: postando un video su Youtube.
Strumento di comunicazione affilatissimo, i social network non devono esser sottovalutati: possono essere ragione di un licenziamento, così come di querela e soprattutto non fanno differenza tra privato e pubblico: non siamo catalogati per funzione, titolo, e nemmeno per reddito, perché, ci piaccia o meno, siamo persone. Sempre.