Intervista con Caterina Schiavon: dopo la crisi, un Nuovo Rinascimento

Quando “Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente“: apre così, parafrasando Mao Zedong, l'Osservatorio Tendenze Ipsos 2009. Un bel salto, rispetto all'effetto perturbante creato dai toponi neri che “infestavano” quello del 2006, quando in tempi non sospetti aveva preannunciato l'attuale crisi.
“L'ottimismo di oggi nasce dalla consapevolezza che siamo in un momento di svolta epocale. Dalle ceneri nasce sempre qualcosa d'altro. È la fine di un'era basata su parametri vecchi, una sorta di Nuovo Rinascimento”, è il commento di Caterina Schiavon, direttore dell'area di Ricerca Sociosemiotica di Ipsos Italia, per la quale tra l'altro dal 2000 si occupa della lettura dei dati del monitoraggio continuativo per trarne tendenze e modelli culturali in avanzamento.

La crisi fa paura, e la paura paralizza: oggi è più proattiva l'offerta o la domanda?

Molto spesso c'è una maggiore originalità nella domanda rispetto a quello che viene proposto. Del resto, chiedere è più facile di quanto non sia dare, significa investire tempo e denaro, mentre sognare non costa nulla. È proprio nei momenti di crisi, quando vengono messi in discussione i vecchi valori, che la gente ha bisogno di trovarne di nuovi. E in una società sempre più individualistica, non può fare altro che cercarli dentro di sé. Non a caso, un valore che sta esplodendo in questo momento è appunto quello del sogno. Per reagire a questo apparente immobilismo, la gente ha sempre più bisogno di evasione e di sogno, o per meglio dire di un'utopia cui tendere. Per uscire dal contingente e riuscire a rinnovarsi.

Quindi la crisi come opportunità di crescita...

Sicuramente. Siamo figli di una società senza sogni, di una società del benessere che ha saturato il mercato soddisfacendo e addirittura creando molti bisogni, senza però trasmettere un valore progettuale. Da un lato, il must della società capitalistica è sempre stato quello di soddisfare l'immediato, senza pensare in chiave progettuale. Dall'altro, il benessere crea una sorta di pigrizia, sia intellettuale sia culturale, che porta a delle cadute valoriali. Mentre è proprio quando si sta peggio che si creano delle tensioni che possono essere anche foriere di cambiamento. La voglia di migliorare rimette in moto le energie, ma anche le emozioni e appunto i sogni, che hanno un forte potere rivoluzionario. Per questo, la crisi va vista come un'occasione per il singolo, ma anche per la società, di rigenerarsi.

Per reagire al fantasma della povertà c'è chi sceglie la frugalità e chi la gratificazione: due mondi contrapposti?

No, anzi in realtà sono il rovescio della stessa medaglia, in quanto entrambi gli atteggiamenti esprimono la volontà di uscire da una situazione di stallo. Del resto, la frugalità oggi è ben di più della necessità di risparmiare, è un valore e, in quanto tale, è anche piacere: il piacere della decrescita, di essere quelli che sono capaci di fare la spesa giusta, di evitare gli sprechi, di non inquinare ecc. Così il piacere del consumo ragionato diventa la nuova ricchezza. D'altra parte, il concetto di gratificazione oggi non coincide più tanto con la volontà di accedere a prodotti di lusso, ma piuttosto con la pretesa di poter vivere sempre esperienze di lusso. Persino nella frugalità, dove il lusso appunto sta nella valorizzazione della ricerca del frugale, dell'acquisto giusto.

Si sta delineando un nuovo concetto di lusso, meno venale e più accessibile ...

Proprio così. Si tratta di un lusso non tangibile, e per questo meno banale, perché non tanto razionale quanto emozionale. Del resto, il lusso reale è per pochi, mentre quello emozionale circonda il prodotto, di qualsiasi fascia di prezzo esso sia, e ne rende più gradevole/soddisfacente l'acquisto. Ecco quindi che anche l'outlet, il supermercato, o il discount possono offrire ai consumatori esperienze di lusso, non tanto in termini di assortimento bensì di servizio, di attenzione e di relazione con la clientela.

Non c'è il rischio che l'apparenza conti più della sostanza?
Certo, infatti sarebbe un errore sottovalutare la qualità, che invece resta un forte ancoraggio, soprattutto nel food. Anzi, direi che dovrebbe essere un prerequisito, ma da sola non basta: una marca di successo oggi deve saper veicolare un progetto insieme al prodotto. Un esempio di successo è il forte sviluppo registrato dall'area del wellness, molto emozionale, ma anche molto progettuale: ti vendo oggi qualcosa che può aiutarti a costruire il tuo domani.

Insomma, è più importante innovare la comunicazione del prodotto?

Direi di sì: senza nulla togliere all'attività di R&S, innovazione è anche saper guardare in modo diverso, cambiare il punto di vista. Piuttosto di saturare gli scaffali di nuovi prodotti che magari di innovativo hanno ben poco, meglio concentrarsi su altre leve di marketing. E sulla veicolazione di concetti uptodate. Oltre al coinvolgimento emozionale, indicherei la trasparenza, perché per fidelizzare -lo dice la parola stessa- c'è bisogno che si crei un rapporto di fiducia con il consumatore, che ha sempre più strumenti per “annusare” gli inganni. Basti pensare ai social network, che sono un eccezionale strumento di contestazione dal basso. E poi il senso di comunità e di appartenenza: le persone, oggi, hanno bisogno di appartenenza, vogliono avere rapporti orizzontali e non solo gerarchici. Una realtà portata fortemente alla luce appunto dai nuovi media.

Il mondo delle imprese sa utilizzare il web?

Poco: occorre investire nella ricerca di nuove modalità di comunicazione e nuovi linguaggi altrimenti non funziona. Avere un sito-vetrina non serve a nulla, deve essere push and pull, ovvero interattivo, per creare partecipazione e aggregazione. Vanno poi tenuti d'occhio i blog: sul web c'è un mare di banalità, ma prima o poi viene fuori un'idea nuova, nuove richieste che possono veramente spostare i consumi. Anche i blog aziendali, sia per uso interno sia esportabili, sono uno strumento utile per rafforzare l'immagine dell'azienda, che poi è fatta di persone. La convergenza mediatica, inoltre, favorisce la convergenza culturale.

Per finire, un'indicazione per migliorare la shopping experience?

Stupire con saggezza, interpretare i desideri inespressi, dare risposta a più domande. Più che sul mordi e fuggi dei temporary store, punterei sulla rivalutazione dei concept store. E poi sulla capacità di mixare ibridazioni, perché è la stessa realtà che è sempre più ibrida e complessa.

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