Retail, modello marketplace tra fisico e digitale

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Il circolo virtuoso che spinge l’evoluzione del retail verso il modello marketplace d2c, anche per la vendita di prodotti alimentari

I vantaggi della piattaforma e del d2c, senza intermediari verso il consumatore

  • Inventario diffuso o digitale
  • Sono i vendor a gestire il proprio shop
  • Selezione condivisa dell’offerta
  • Produttore/vendor e marketplace collaborano da punti di vista diversi
  • Focus sugli obiettivi
  • Ciascun stakeholder si impegna per la propria parte del business
  • Massima “democraticità” dell’offerta
  • Domanda e offerta si incontrano in una piazza più ampia
  • Strategie personalizzate
  • Il vendor sceglie prezzi, posizionamenti, comunicazione in base al momento
  • Interessi condivisi
  • Concorrenza e spinta al servizio potrebbero favorire i consumatori
  • Massima flessibilità
  • Più novità, più attrazione
  • Trasparenza
  • Il brand emerge con tutta la sua filiera
  • Contatto diretto con i consumatori

Marketplace, piattaforma: questi termini si riferiscono a una formula di retail nella quale più venditori vengono aggregati presso un unico luogo fisico o digitale, dove riescono a valorizzare meglio la propria offerta e a raggiungere un maggior numero di clienti in modo diretto. Alcuni esempi di successo sono Amazon, Alibaba, eBay, ma anche Vivino, andando in verticale per il vino, oppure Farfetch per la moda, e Runnics per il mondo del running. La formula funziona, e bene: è scalabile, declinabile in modi diversi e focalizza gli sforzi, perché il vendor cura il proprio shop, l’offerta e il servizio, mentre chi gestisce il marketplace si impegna per offrire ai brand presenti (industriali o retailer che siano) il meglio in termini di tecnologia, con software avanzati e di ultima generazione, motori di ricerca, sistemi di pagamento, adattamenti territoriali.

Nel canale fisico il corrispettivo del marketplace è il department store moderno, stile Rinascente, Harrod’s Galeries Lafayette, ma anche l’outlet McArthurGlen, oltre che Walmart e Target. Si tratta di una soluzione che attrae per la capacità di selezionare l’offerta, coccolare e servire il cliente, con il lusso o con la convenienza (o con una combinazione di entrambi gli elementi). Se, invece, si parla di alimentari, il riferimento, anch’esso storico, è il mercato, rivisto e aggiornato, per esempio Mercato Centrale di Torino.

Marketplace digitali e fisici hanno in comune la partnership tra chi gestisce la vetrina e chi vi opera con le proprie merci, con una formula che porta al massimo la soddisfazione del cliente e conserva il contatto diretto. Non c’è intermediazione, il vendor sceglie l’offerta, pianifica il pricing, espone i prodotti, si occupa del pre e del post vendita, risponde alle domande del cliente, a volte consegna anche i prodotti, oppure si affida ai servizi logistici del marketplace. Nel digitale il riferimento è Amazon, partito proprio dalla volontà di offrire al cliente la migliore e più grande selezione di prodotti possibile, anche se quella del marketplace vero e proprio è stata un’evoluzione avvenuta nel 2002 quando i venditori singoli sono stati inseriti nella piattaforma. Adesso le vendite dal marketplace superano quelle con il modello retailer, e l’evoluzione è stata replicata per il food di Amazon Prime Now: Unes e Pam sono partner su Milano, Torino e Roma, affiancati dall'offerta Amazon, mentre a Bergamo è presente solo Unes, nel senso è disponibile solo la selezione del partner con la logistica di Amazon per le consegne in giornata. La priorità è il cliente, cui è destinata l’offerta: le insegne food ci mettono i prodotti a marchio -graditissimi, riferisce Amazon, quelli de Il Viaggiator Goloso- e Amazon oltre alla visibilità sui clienti Prime, alla logistica e al canale digitale, ci mette un’offerta aggiuntiva di prodotti “i migliori di Amazon”, dal mouse alle pile ai dispositivi proprietari, in un’ottica di servizio pronta consegna.

All’estero la logica è la stessa: in UK c’è Morrisons, a Madrid c’è anche Mercado De La Paz, un marketplace fisico, con l’obiettivo di garantire più valore al cliente che può scegliere tra prezzi diversi, una più ampia selezione, e una varietà di reparti. L’ultimo passo è stato portare il food su Amazon.it: qui ora si trovano i due negozi alimentari Unes e Pam, più quello di Amazon, cioè Fresh, con una esperienza d’acquisto migliore rispetto al passato.

Il modello marketplace per il retail alimentare

Se il successo dei marketplace digitali è affidato in prevalenza a categorie non food, a causa della complessità nella conservazione e nella consegna per i prodotti freschi, non è detto che il retailer food tradizionale non possa trarre ispirazione dal modello digitale.

Descrizione dei prodotti, definizione del pricing, fulfillment, spedizione e resi, il passaggio è da un modello rigido, controllato centralmente, a uno sempre più flessibile, alla Amazon, controllato dai singoli brand o partner, ma capace di garantire uniformità nel livello di prestazione, anche se la gestione è affidata a interlocutori diversi. “Se in Amazon già il 55% del venduto è da attribuirsi alla formula marketplace -dichiara Vito Perrone, ceo e fondatore di Yocabè- anche Zalando ha annunciato che entro il 2023 la maggior parte del proprio business verrà dal marketplace. A livello globale, la quota dei marketplace è in crescita, e anche il 70% delle ricerche di prodotto partono da marketplace e non più da motori di ricerca”. È la conferma del progressivo spostamento dei retailer verso questa formula, in versione omnicanale. “Nel food ci sono stati grandi investimenti, tutti verso tecnologie che hanno a che fare con la logistica, la sua ottimizzazione e automatizzazione -prosegue Perrone- perché la chiave è lì”. Pensiamo alla tecnologia di Ocado con Waitrose & Partners, piuttosto che a quella di Fabric in Israele per i retailer food, ai quali offre la consegna in un’ora attraverso mini dark store completamente automatizzati. Il marketplace permette di trasformare un numero virtualmente infinito di magazzini che si trovano in location diverse (come appunto i negozi o depositi dei brand), in un unico magazzino accessibile attraverso una interfaccia online, capace di ottimizzare la relazione tra domanda e offerta. Questa idea, estremizzata nel food da scontrini bassi e tempi di consegna sempre più stretti, anche a causa della deperibilità dei prodotti, si sposa bene anche con le reti di negozi alimentari, perché permette di aumentare l’offerta senza i limiti del magazzino tradizionale.

“Mi aspetto che alcune infrastrutture che si stanno attrezzando per supportare l’online -chiarisce Perrone- vengano impiegate per collegare la domanda e l’offerta del food offline, soprattutto per alcune categorie, come i prodotti che non hanno un largo consumo presso una certa insegna e, quindi, non vengono proposti nell’assortimento standard del supermercato, ma che potrebbero comunque essere acquistati con rotazioni inferiori e in una fascia di prezzo più alta”.

Per esempio, il bio, o articoli che il 70% dei clienti dell’insegna non acquista: gli assortimenti diventano più ampi e profondi grazie a dark shop che puntano fortemente sulla tecnologia. “Un match tra domanda e offerta molto più dinamico -dice Perrone- guidato sempre più da automatismi tecnologici e sulla base di una logistica che sta cambiando in modo radicale: è questo l’apporto che il marketplace digitale può dare al canale fisico”.

Tutto da sviluppare poi è l’aspetto della relazione diretta del brand con il cliente: in un marketplace fisico quale potrebbe essere il corrispettivo della scheda prodotto online? “Penso che l’avvicinamento tra questi mondi avverrà attraverso la realtà aumentata -precisa Perrone-: basta guardare alla Cina, che sta ripensando i negozi fisici con questa tecnologia per dare più spazio ai brand”.

Certo, non mancano difficoltà per le aziende nell’evoluzione verso il marketplace. “La prima è la stessa organizzazione -chiarisce Perrone- le aziende sono abituate al modello wholesale, nel senso che vendono a un distributore, con dinamiche di quantità e scontistiche. Anche decidere il prezzo di vendita è una difficoltà, perché le aziende finora si limitavano a dare ai retailer linee guida, che venivano calate nelle singole realtà di negozio. Poi merchandising, promozioni, gestione del cliente. Le realtà che si stanno evolvendo più velocemente, come il fashion, assumono figure professionali dedicate per il d2c”.

La logistica rappresenta un’ulteriore criticità e per ora i modelli indicati dal marketplace sono due: nel primo, il brand conserva il prodotto nei propri magazzini, o in quelli di un fornitore di servizi come Yocabè, e li vende su più canali, dai marketplace al proprio eCommerce. Questo modello si adatta bene a prodotti ad alto valore. Il secondo modello si presta di più al largo consumo: è lo stesso marketplace che offre l’infrastruttura logistica e il produttore spedisce verso il magazzino del marketplace che distribuisce al cliente finale. “Il primo passaggio è il retailer offline che si apre verso l’online, ma rimane retailer -chiarisce Perrone -. L’evoluzione naturale è diventare marketplace, cioè andare oltre il magazzino unico di distribuzione della gdo e permettere ai brand di distribuire loro stessi i propri prodotti, come fa Amazon. Questo permette di vendere prodotti prima non disponibili in assortimento e anche di capire quali hanno effettivamente successo, così da proporli anche nel canale fisico. Un circolo virtuoso che dal fisico va al marketplace per tornare al negozio fisico. I due modelli imparano l’uno dall’altro, trasferendo i vantaggi del fisico anche sul digitale, e viceversa, con gli opportuni adattamenti”.

“Oggi gli stessi marketplace, nati come piattaforme di marketing conversion sulle quali si mirava a convertire il prodotto in acquisto, esattamente come Rinascente -spiega Paola Marzario, presidente di BrandOn Group- stanno diventando luoghi full funnel, dove incontrare tutti gli utenti e fare brand awareness su target differenziati”. La differenza è che nei marketplace stanno evolvendo una serie di sistemi capaci di spingere la visibilità del prodotto attraverso l’advertising, in modo molto mirato, semplice e con investimenti più concentrati. Senza contare che gli assortimenti sono infiniti, possono incontrare esigenze diverse ed è possibile lavorare sulle parole chiave e le sponsorizzazioni. L’obiettivo del marketplace, fisico o digitale, rimane quello di portare traffico.

“Le logiche si evolvono ma il modello era già quello di Esselunga -dice Marzario- ovvero il prezzo a metro lineare, che su Amazon diventa un fee e un revenue share, e la promoter instore che diventa adv. Anche i programmi fedeltà sono analoghi, da Amazon Prime a Cdiscount à Volonté del francese Cdiscount”.

La Francia è uno dei Paesi più avanzati nella creazione di marketplace di retailer: Carrefour ha abbracciato questa logica nell’eCommerce permettendo ai brand di offrire assortimenti più ampi rispetto a quelli presenti in store. Un approccio che è già stato attivato anche in Spagna e presto dovrebbe arrivare anche in Italia Sempre in Francia, anche Decathlon ha aperto la propria piattaforma ad altri brand, mentre Metro è diventato marketplace nel b2b. Analogamente Douglas ha fatto lo stesso in Germania, Austria, Francia e Polonia. “Una volta che questi retailer si sono dotati della capacità di gestire milioni di sku offerte da terze parti -aggiunge Marzario- far crescere il marketplace porta solo vantaggio perché è tutto self service. Mi aspetto che cominceranno a vendere servizi di media advertising sulle loro piattaforme, quando avranno raggiunto traffici e presenze di brand adeguate, proprio come fa Amazon”. Il retailer partecipa al successo del brand e ogni brand ha le stesse possibilità, anche se legate al budget. “C’è più democrazia, su un marketplace -dice Marzario- perché è il consumatore che sceglie, non il buyer: è la customercentricity da cui nel ’99 è partito Jeff Bezos”. Ed è la logica abbracciata anche da Walmart che ha investito molto per competere con Amazon e oggi lo tallona da vicino, negli Stati Uniti. Brand e retailer devono evolvere da una logica b2b a una b2c, proprio come il colosso fondato da Sam Walton. “Il primo ostacolo è la cultura aziendale -aggiunge Marzario-, quindi la gestione del cliente, il customer service, la logistica, infine le competenze digitali: il marketplace manager e l’advertising marketplace manager sono professioni destinate a crescere”.

La piattaforma di Ovs per la famiglia

Direzione marketplace sia per il canale fisico che per quello digitale: questa l’evoluzione che ha intrapreso l’insegna Ovs. Accanto alle proprie mdd (brand di propria produzione) -come Grand&Hills outdoor casual per il giovane e ragazzo, Piombo per l’uomo che preferisce uno stile italiano upper casual, Everlast, lo sport casual per uomo e donna-, sta integrando marchi internazionali caratterizzati da forte notorietà, come Gap, presente sul sito e in circa 20 negozi a partire dalla linea kids. Molti altri se ne aggiungeranno, ha annunciato l’azienda, tra brand in licenza o in concessione, ma anche attraverso acquisizioni.

Uno stesso sviluppo è previsto anche per l’eCommerce, nel quale ai brand proprietari se ne aggiungeranno altri sinergici con l’offerta di Ovs e caratterizzati da un posizionamento chiaro. L’obiettivo è generare sempre più traffico intorno a una piattaforma dedicata principalmente al target della famiglia. “Siamo convinti che vi siano davanti a noi rilevanti opportunità di crescita che intendiamo cogliere -ha detto l’Ad Stefano Beraldo- adottando una strategia che valorizzi le nostre peculiarità e in sintonia con i trend strutturali del mercato. Intendiamo affrontare la crescita in una logica di ecosistema, attraverso lo sviluppo di diversi canali, dal fisico, al digitale, al b2b, utilizzando marchi propri e nuovi. La crescita avverrà prevalentemente attraverso il subentro in aziende o quote di mercato esistenti, piuttosto che attraverso la pura competizione per acquisire nuove quote di mercato”.

Target accoglie Ulta Beauty e Apple

Una serie di partnership che rendono sempre più distintiva la shopping experience: così Target sta collezionando brand che propone con la formula dello shop in shop. Dopo Disney, nel 2019, Levi Strauss & Co.’s, Cvs e Starbucks, sono arrivati il beauty store di Ulta Beauty e Apple. Ulta Beauty entrerà entro la fine del 2021 in 100 negozi Target, per estendersi successivamente ad altri shop della rete, compreso l’eCommerce del retailer. L’offerta è costituita da brand in precedenza non disponibili nell’area beauty di Target insieme a servizi in ottica omnicanale, come la consegna o il ritiro in giornata, e a strumenti come il tester virtuale GlamLab. L’offerta viene animata con capsule collection e limited edition.

Anche per Apple lo shop in shop è sia fisico che virtuale, partendo da 17 location fisiche in inverno 2021 cui se ne aggiungeranno altre in autunno. L’obiettivo è consolidare il ruolo di destinazione per la categoria dell’elettronica, sulla base dei desideri espressi dai clienti Target. Apple era presente anche prima nell’offerta del retailer, ma con la metà dei prodotti rispetto al nuovo spazio. A questo si aggiungono i servizi dell’online: la consegna in due giorni, il ritiro e drive gratuiti.

Community market

A Roma Tor Vergata Carrefour riprende l’idea del mercato rionale: 28 produttori del Lazio con corner nell’ipermercato. 200 articoli di cui 120 freschi del territorio. Analoga iniziativa temporanea da Muji in C.so Buenos Aires a Milano, con produttori, designer, artigiani.

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