Revisione degli assortimenti, la prima sfida per il category manager

Occorre un approccio multidimensionale e sistematico agli assortimenti, che tenga conto del comportamento dei clienti nel tempo e degli obiettivi operativi e strategici del retailer per specifica categoria merceologica

I mercati non stanno mai fermi. Spesso evolvono gradualmente, talvolta - come sta accadendo nell’ultimo periodo - in modi imprevedibili. Tra le tante sfide che i retailer sono chiamati oggi ad affrontare quella della revisione continua dell’assortimento sta diventando la più pressante e pervasiva.

È, innanzitutto, un problema di numeri. L’innovazione continua delle grandi marche sta portando a ad aumentare costantemente il numero delle Sku (Stock Keeping Unit). La popolazione dei fornitori piccoli o di nicchia è in costante ascesa ed è sempre più rilevante anche la quota di prodotti a marchio del distributore. Il risultato è un numero crescente di prodotti, destinati a spartirsi il poco spazio disponibile in negozio.

Se crescono le referenze, lo stesso non accade infatti per gli scaffali: le opportunità di espandere o riallocare gli spazi sono ridotte o pressoché inesistenti. A maggior ragione per i nuovi negozi che stanno aprendo in mercati urbani sempre più piccoli e in cui i limiti di spazio finiscono per aumentare la competizione sugli scaffali. Ogni punto vendita, d’altronde, fa storia a sé: se un tempo si puntava all’omogeneità dei negozi, ora ogni nuova apertura impone di variare dimensioni e formato dei prodotti.

Dal negozio fisico la difficoltà si trasferisce anche allo store digitale. Sebbene gli spazi dell’e-commerce siano infiniti, è fondamentale anche qui gestire l’assortimento per non perdere l’attenzione del cliente e per limitare l’impatto su inventario e logistica. L’assortimento deve quindi essere ottimizzato in base alle specificità di ciascun punto vendita, sia esso fisico o digitale.

Il ciclo di ottimizzazione assortimentale

Carlo Giuliano, Project Manager di Axiante

Storicamente la gestione dell’assortimento era considerata un processo semplice, composto di soli due passaggi: si inserivano le novità dell’industria di marca per ogni categoria merceologica e si procedeva al cosiddetto delisting, ovvero all’eliminazione degli articoli meno venduti per far spazio ai nuovi prodotti.

I risultati di questo metodo non sono, però, scontati. I nuovi prodotti inseriti possono rivelarsi a loro volta poco appetibili per la clientela, così come l’eliminazione di altri può produrre l’effetto di ridurre le vendite di prodotti correlati. Nel tempo, dunque, alcuni retailer hanno iniziato a comprendere il valore di un’ottimizzazione dell’assortimento più attenta, guidata dall’interno e non dall’industria di marca e strutturata su un ciclo continuo.

È quella che in Axiante definiamo un’ottimizzazione “data driven”, ovvero guidata dai dati. Si tratta di un approccio multidimensionale e sistematico agli assortimenti, che tiene conto del comportamento dei clienti e di come questo varia nel tempo, oltre che degli obiettivi operativi e strategici del retailer per quella specifica categoria merceologica.
Oggi è, infatti, possibile stabilire in modo razionale lo spazio da riservare a ciascuna categoria (macro planning), quali Sku mettere a scaffale e in quali negozi (localizzazione), valutando fattori specifici del singolo punto vendita e tenendo conto del contributo marginale di ogni prodotto alla redditività complessiva del negozio.

Fare le scelte giuste nel delisting

Quando si tratta di ridurre il portafoglio di prodotti, molti category manager prendono le proprie decisioni basandosi prevalentemente sui tradizionali indicatori di marginalità e rotazione. Questi kpi sono certamente rilevanti nel processo di selezione, ma non dovrebbero essere i soli elementi in base ai quali decidere cosa eliminare. Per una valutazione globale più bilanciata, è importante infatti considerare anche altre dimensioni: da un lato l’unicità della Sku e il suo valore per il cliente, dall’altro il contributo del prodotto stesso nel consolidare l’immagine e la strategia del retailer.

Quest’ultimo fattore è quello che si definisce “peso economico globale”, dove per “globale” non si intende il totale delle vendite di una Sku, ma una valutazione nella sua globalità. Considerare solo il totale delle vendite può portare, infatti, a conclusioni non sempre azzeccate, considerato che il risultato delle vendite dipende dalla diffusione nei cluster di negozio, dal numero di negozi, dall’arco di tempo in cui il prodotto è rimasto sullo scaffale.

Al contrario, analisi puntuali - come la vendita settimanale, per paniere o per negozio - aiutano il category manager a prendere decisioni molto più solide sulle potenzialità di ogni singola Sku. Applicare questo approccio a tutti i prodotti prima di eliminarli permette di dare un peso economico veramente globale al singolo prodotto.

Infine, occorre valutare l’unicità e la sostituibilità delle Sku. Alcuni prodotti, che appaiono “scarsi” se misurati sulle vendite, possono invece rappresentare dei prodotti “core” per certi clienti: questi, non trovandoli sugli scaffali, potrebbero decidere di cambiare negozio, portando anche tutto il resto dei propri acquisti a beneficio della concorrenza.

Prendendo in considerazione gli alberi decisionali del cliente e le matrici di unicità per categoria, è possibile dare forma alla cosiddetta “domanda trasferibile” e prevedere, in caso di eliminazione di un prodotto, come e in quale misura la domanda verrebbe riallocata all'interno della categoria e quale sarebbe invece la quota di vendite che andrebbero perse.

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