Intervista a Patrice Flichy sull’amatore, la tipica figura del sapere in rete

Una figura antica, l’amatore, è protagonista
di un’ascesa silenziosa
che sta modificando la grammatica
culturale. I suoi interessi, le sue
curiosità, le sue passioni, grazie alle tecnologie
digitali, divengono più importanti di ogni
sapere esperto. Per comprendere le dinamiche
del fenomeno abbiamo intervistato
il sociologo francese Patrice Flichy, che ha
dedicato il suo ultimo libro al tema.

In uno dei suoi precedenti lavori ha analizzato
il mutamento del rapporto tra
sfera pubblica e sfera privata innescato
dai mezzi di comunicazione moderni.
Nella società delle reti, qual è il livello
di questa relazione?

Nella società delle reti, le frontiere tra
pubblico e privato sono sempre meno
nette, lo dimostra il fatto che l’emozione,
l’intimità, la passione assumono un’importanza
crescente nelle discussioni pubbliche.
Mentre il “privato” è stato ampiamente
diffuso nello spazio pubblico dalla
radio e dalla televisione, il “pubblico”, grazie
ai linguaggi digitali, è contemplato in
uno spazio intimo che può, eventualmente,
assumere una dimensione più grande.
Si tratta di un luogo di svelamento
dell’intimità che s’indirizza a un numero
esiguo di riceventi più o meno conosciuti,
attraverso un dispositivo accessibile a
tutti, ponendosi, in questo modo, all’intersezione
di pubblico e privato. Ne sono un
esempio i blog personali in cui circolano
foto o video destinati alle persone più vicine,
ma potenzialmente accessibili ad un
pubblico più vasto.

Nel suo ultimo libro, “Le sacre de l’amateur”,
spiega la consacrazione dell’amatore.
Potrebbe descriverci questa nuova
figura e il suo ruolo al tempo di internet?

L’amatore che emerge oggi grazie alle tecnologie
digitali beneficia dell’innalzamento
medio della conoscenza (dovuto a un
processo di scolarizzazione più lungo) e
della possibilità, offerta da internet, di far
circolare i saperi e, contemporanea-mente,
di poter diffondere la propria opinione
ad un pubblico più grande. Egli non cerca
di sostituirsi al professionista, né agisce
come tale; l’amatore sviluppa piuttosto
una “competenza ordinaria”, acquisita,
giorno dopo giorno, attraverso la pratica
e l’esperienza, che gli permette di realizzare,
durante il proprio tempo libero, le
attività che ama. La peculiarità dell’amatore
è di tenersi a metà strada tra l’uomo
comune e il professionista, il profano e
il virtuoso, il cittadino e l’uomo politico.
Internet facilita l’assunzione di questa
posizione mediana fornendo all’amatore
i mezzi di produzione e le connessioni per
diffondere i propri risultati.
L’amatore non si limita ad ampliare le
proprie conoscenze, ma può metterle in
pratica in modi diversi. Emergono così
due grandi figure di amatore: colui che
realizza e colui che apprende, l’artigiano
e l’intenditore. Il primo fabbrica, crea, inventa,
l’altro sa scovare le cose buone e
spiegarle. L’amatore di cui mi sono interessato
riunisce queste figure.

Con l’avvento dei media digitali il pubblico
non è più esclusivamente un fruitore
passivo, ma diviene un produttore di
contenuti, secondo lei nel lungo periodo
potrà sostituire completamente le produzioni
professionali legate al mondo
della cultura?


Su questo fenomeno sono possibili due
tipi di letture, da una parte gli osservatori
più entusiasti salutano con favore
la rivincita degli amatori perché, a loro
avviso, stanno sfidando i professionisti,
accusati di abusare del proprio sapere
per proteggere il prestigio sociale e, più
in generale, il potere. Questa rivoluzione
che, come ho già detto, consente di trasformare
gli autodidatti e gli “ignoranti” in
esperti ufficiali, desta preoccupazioni in
molti osservatori. Il loro avviso è che stia
prendendo forma uno scenario catastrofico
in cui il peer to peer ha già iniziato a far
sparire i dischi e presto eliminerà anche
il cinema; i blog hanno ucciso la stampa;
le enciclopedie sono state rimpiazzate
da Wikipedia, ecc. In verità la nuova
“economia digitale” non ha eliminato la
vecchia economia, allo stesso modo gli
amatori non cacceranno gli esperti. Ma,
nonostante ciò, non si possono ignorare
le mutazioni decisive che si sono manifestate
con la diffusione di internet. La figura
dell’amatore diviene centrale nella nostra
società, non perché detronizzi quella
del professionista, ma perché annuncia
un movimento di tutt’altra importanza:
una democratizzazione basata su individui
che, grazie al loro livello di educazione
e ai nuovi media informatici, possono
acquisire delle competenze fondamentali
nel quadro dei propri svaghi. A seconda
dei casi, tali competenze consentono di
dialogare con gli esperti o di contraddirli,
ma in nessun caso di sostituirli.

La contraddizione storica tra cultura
alta e cultura di massa trova una sua
pacificazione nella rete riconducendo
tali rapporti verticali e gerarchici a una
dimensione orizzontale?

I sociologi, per molto tempo, hanno opposto
la cultura legittima e la cultura
popolare. Oggi sappiamo che il pubblico
delle opere “legittime” non sdegna
affatto consumare alcuni prodotti della
cultura di massa e viceversa. Ma il fenomeno
di maggiore interesse è legato al
la peculiarità
dell’amatore
è di tenersi
a metà strada
tra l’uomo
comune e il
professionista
mutamento d’immagine dei critici. Essi
giocavano un ruolo centrale nella costruzione
dell’opinione pubblica, mentre oggi
hanno perduto una porzione del loro potere
a favore degli amatori che si limitano
ad esprimere i propri gusti e a informare
le proprie reti. I loro differenti pareri si
giustappongono senza essere imbrigliati
in una classificazione riconosciuta delle
qualità artistiche. In definitiva, le gerarchie
artistiche accettate universalmente
spariscono per lasciare il posto ad un frazionamento
delle arti e delle conoscenze.
Cultura legittima e cultura popolare sono
così meno distanti.

I movimenti degli indignados, così come
la primavera araba, sembrano restituire
all’opinione pubblica l’idea che le nuove
tecnologie consentano alla gente comune
di calcare la ribalta della scena,
creando un ambiente in cui incontrarsi,
discutere, organizzarsi. A suo avviso la
rete è il principale agente di cambiamento
in questi fenomeni politici?

La rivoluzione della primavera araba, come
i movimenti degli indignados sono
espressione del “potere dei senza potere”
di cui parla Vaclav Havel, ma non possono
essere definiti figli di un mezzo di comunicazione
specifico. Non sono stati né i blog
né le reti sociali a produrre questi movimenti,
al contrario, prima di ogni altra cosa,
sono state la sofferenza di una società
e la volontà di alcuni dei suoi membri di
sperimentare una nuova forma di azione
politica. Gli attori di tali rivoluzioni hanno
semplicemente trovato in internet delle
risorse adatte al proprio movimento che
hanno permesso loro di raggiungere una
grande audience. D’altra parte, la possibilità
di usare le reti sociali ha indotto
alcune persone, in particolare i giovani,
che maneggiavano con disinvoltura quei
mezzi di comunicazione, a impegnarsi più
attivamente. Ma la primavera araba e gli
indignati hanno utilizzato ben altre forme
di azione, ad esempio l’occupazione di
luoghi dal forte valore simbolico, come
Piazza Tahrir al Cairo o Puerta del Sol a
Madrid. Il virtuale si è messo al servizio
di occupazioni più che reali.

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