Intervista con Wendell Berry, il guru del km zero

All'ingresso di Eataly c'è una scritta: “Mangiare è un atto agricolo”. L'aforisma è di Wendell Berry, 75 anni, poeta-saggista-contadino, il profeta dell'America rurale, secondo la definizione del New York Times, nonché il promotore dell'esperienza dei farmers market, nati in California negli anni 70 e ai quali si ricollega il concetto di filiera a km zero. La svolta nella sua vita giunge quando vince una borsa di studio Guggenheim con cui viene mandato a Firenze all'inizio degli anni 60 per studiare la letteratura italiana. Colpito dalla bellezza della campagna toscana e dalla sua “buona” agricoltura, scopre la sua vera vocazione di contadino poeta e, a fine anni 60, torna nel Kentucky dove inizia a condurre una piccola fattoria, con cui fonda una comunità rurale. Gdoweek ha raccolto quest'intervista in esclusiva a Forlimpopoli, durante la visita per ritirare il Premio Artusi 2008.

Mr. Berry nella sua giornata tipo scrive, insegna e lavora nei campi?
Sì scrivo, ma leggo anche. Come lettore sono molto eclettico. La mia passione sono Shakespeare e Dante, ma mi piacciono anche Hemingway e Faulkner. Ad ogni modo l'attività che mi impegna di più è l'agricoltura e l'allevamento degli animali. Devo dire, però, che mi impegna anche la raccolta della legna con cui cerco di essere completamente indipendente dalle compagnie petrolifere. La dipendenza energetica è una delle modalità con cui il sistema si impone e ci costringe ad accettarlo.

In merito lei usa le parole totalitarismo economico: cosa intende?
Parlo della logica del capitalismo che è totalitaria: la tendenza inevitabile del libero mercato selvaggio è, infatti, ciò che avviene nel gioco del Monopoli. Io credo, invece, nella comunità locale intesa come un principio fondante e al tempo stesso come un sistema pratico per le persone al fine di realizzare un'armonica condivisione del microcosmo in cui si vive. Del resto qualsiasi cosa accada al mio vicino, in qualche modo influenza anche me.

Quindi è contrario alle grandi ricchezze? Eppure l'etica protestante a cui lei fa riferimento dà un origine divina al successo economico ...
In realtà, dal punto di vista religioso, io mi ritengo “indipendente”. Leggo soprattutto il Vangelo e, in merito al capitalismo, devo dire che così come è praticato nel mio paese, non può essere neppure lontanamente collegato agli insegnamenti di Gesù, sebbene buona parte delle persone che guidano l'economia si dichiarino religiose.

Del resto lei è contrario all'usura ...
Questa è una questione delicata dato che se si ha un sistema monetario su larga scala, ci si deve per forza basare su un sistema bancario che deve essere remunerato. Il punto è di stabilire la giusta remunerazione, esattamente come dice il Vangelo. Il tasso deve essere stabilito dalla comunità, inclusi i banchieri, e quando dico comunità parlo di una comunità locale dove tutti si conoscono e si guardano negli occhi. Che è poi la stessa garanzia di qualità offerta dai farmer market e dai negozi di vicinato: chi vende mette a garanzia la propria faccia e la propria onorabilità. In cambio però il cliente deve accettare di pagare il giusto prezzo, cioè un po' di più di quello praticato nella grande distribuzione.  

Sbaglio o parlando di grande distribuzione si riferisce a Wal-Mart?
Io non mi fido di Wal-Mart, tratta male i suoi dipendenti e non intende essere un buon vicino. Con i suoi prezzi distrugge l'economia locale e fa sì che la gente si chiuda in casa e pensi di  non avere bisogno dei suoi vicini.
È un tipico approccio dall'alto e quindi alieno, mentre il fattore chiave sta nella capacità di adattarsi all'ambiente locale, come in natura fanno gli animali. Questo del resto è lo stesso problema che ha lo Stato: non può perseguire la “local adaptation”. Ecco perché bisogna diffidare delle scelte del governo.

La sua visione non è un po' troppo pessimista? Non è che lei magari vede il rischio di una catastrofe?
Non lo sappiamo, non lo possiamo sapere; ciò che sappiamo, perché lo sentiamo dentro, è cosa è bene e il modo per praticarlo. Non è una questione di istruzione, ma di sentimento, di rapporto emotivo individuale con la propria terra al fine di capire il rapporto con essa. Cosa tanto più decisiva per i giovani che devono capire dove sono e chi sono le persone con cui vivono, capire la natura del posto e che cosa la natura consente loro di fare. Devono comprendere cioè il genius loci, quello che Alexander Pope chiamava il “genius of the place”.

Non crede che questa sensibilità verso il locale, la storia e il genius loci possa avvantaggiare l'Italia?
L'Italia, come tutti i paesi industrializzato, deve ristabilire il rapporto con il suo territorio. L'industrializzazione tenta di affermare il concetto della mobilità per cui non è importante dove vivi e cosa fai. Invece è importante volersi fermare, perché, se non altro, si comprende che se rovini il luogo dove vivi, vivrai in mezzo alle rovine.
    Ugo Stella

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